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Un manifestante No vax

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Man mano che il governo tira diritto per la sua strada, estendendo il Green pass (o l’obbligo della prova tampone) per accedere in luoghi di socialità, è interessante notare come i media, soprattutto tv, seguono e rappresentano il dibattito. Quasi tutte le linee editoriali sono schierate pro vax, ma non rinunciano a dare la parola anche agli intransigenti avversari del vaccino.

È interessante, quindi, avventurarsi nell’epistemologia del pensiero no vax, senza pretendere di cogliere tutte le sfumature di una galassia che ha un solo punto comune: la totale mancanza di una logica. Come cercheremo di dimostrare.

LIBERTÀ VÒ CERCANDO

I no vax libertari sono coloro che ritengono violato il loro diritto di gestire il proprio corpo, di poter scegliere se sottoporsi a una terapia o rifiutarsi. E quindi ritengono che il Green pass sia un sotterfugio inaccettabile.

Alcuni di loro dichiarano che se il Parlamento (che sfidano a prendersi la responsabilità) stabilisse per legge l’obbligo di vaccinazione per tutti i cittadini, loro, pur di malavoglia, sarebbero pronti a ubbidire.

Questa è la posizione che hanno sostenuto fino a pochi giorni fa i leader sindacali, ormai tutti alla mercé di Landini. Ed è la posizione meno comprensibile, perché anche l’obbligo di presentare il Green pass, ove necessario, non può che essere imposto per legge.

I libertari irriducibili non sono mica – come direbbero in Romagna – dei “patacca”: appartengono a questa cordata le centinaia di docenti universitari che hanno sottoscritto un apposito appello oltre ad autorevoli filosofi, tra cui Massimo Cacciari. A costoro è facile obiettare ciò che diceva Martin Luther King: la tua libertà finisce dove comincia la mia.

Per sfuggire a questo principio si può ricorrere a un solo argomento: che il virus non sia contagioso o che la malattia non sia pericolosa. Ma queste convinzioni non reggono al cospetto di un’ecatombe di morti. E come ha detto un altro filosofo, Umberto Galimberti, non è libero chi ha delle convinzioni sbagliate.

SCIENZIATI ALTERNATIVI

Questa corrente di pensiero prende le mosse da una serie di critiche alla gestione della pandemia, spesso imbrogliando sui numeri o sui casi di effetti collaterali problematici. Come è successo anche recentemente: se qualcuno dice che ci sono state decine di migliaia di persone vaccinate che hanno segnalato conseguenze successive si compie un gioco scorretto, perché resta nel vago la natura di queste conseguenze e perché non si specifica quale peso abbiano su decine di milioni di vaccinati.

Altri denunciano i limiti, gli errori e i ritardi della medicina ufficiale: problemi che magari si sono determinati davvero. A me è capitato di imbattermi nel caso della vaccinazione delle donne incinte, con i no vax che facevano notare le indicazioni un po’ vaghe contenute a questo proposito nelle linee guida ministeriali.

È difficile far passare che il contrasto al virus è stato, e in larga misura è e sarà ancora a lungo, un cammino lungo un territorio sconosciuto; che è nella natura stessa del virus produrre delle varianti; che quando la pandemia è scoppiata gli operatori si sono trovati a operare come i primi intervenuti dopo il disastro nucleare di Chernobyl; che i risultati di oggi sono arrivati dopo un lungo percorso di sperimentazione.

Non è stato facile accumulare non dico delle certezze ma delle rassicurazioni. Cosa sarebbe successo se, in una donna incinta, si fossero determinate conseguenze gravi per la madre e per il feto? Li abbiamo dimenticati gli effetti tragici del talidomide (il farmaco che agiva sulla nausea ma rendeva i bambini focomelici)? In situazioni come questa capita che una persona ci si trovi in mezzo e non abbia indicazioni chiare. È un problema, ma sta nella dinamica delle cose. E comunque sulla partita doppia del dare e dell’avere il vaccino è sempre di gran lunga più conveniente.

Alcuni indicano come prova del fallimento dei vaccini, la possibilità di una terza somministrazione, come se non si sapesse che gli effetti di immunità hanno un limite temporale. Basterebbe essersi sottoposti alla vaccinazione contro l’influenza di stagione per rendersene conto.

LA CURA AL POSTO DELLA VACCINAZIONE

Questo è il trucco più sordido. Si è svolto nei giorni scorsi nella Sala Capitolare del Senato, per iniziativa dell’Associazione Ippocrate, un convegno internazionale sulle cure domiciliari del Covid-19 (peraltro l’iniziativa era stata incautamente apprezzata dalla presidente Alberti Casellati). Il presidente, un signore, laureato in scienze politiche, ha sostenuto, in un’intervista televisiva a latere del convegno, che vi è un farmaco (ivermectina) in grado di liquidare, con quattro giorni di profilassi, gli effetti del contagio. Pertanto, a suo avviso, è più conveniente ammalarsi e curarsi con quell’elisir miracoloso  che non ha nessuna controindicazione, che vaccinarsi esponendosi al rischio di conseguenze serie.

A parte il fatto che – a leggere i bugiardini – anche uno sciroppo per la tosse potrebbe  avere effetti collaterali, la dottrina che emerge in questa variante  del movimento no vax  è la seguente: meglio ammalarsi che vaccinarsi, perché  la cura è banale grazie a un  farmaco che si assume a domicilio (quasi come autoterapia). Poi il contagiato guarito ha un livello di immunità più elevata di  quello di una persona vaccinata. Quindi la via d’uscita non starebbe nell’immunità ma nel contagio di gregge.

Come si può spiegare, allora, che una soluzione così semplice alla stregua della profilassi di un banale raffreddore sia ignorata dai protocolli? Perché c’è il “complotto’’ dei poteri forti corrotti dal Big Pharma. Il fatto stesso che sia stato prodotto un vaccino in un tempo tanto breve come non era mai successo, diventa per costoro una prova in più del disegno giudaico-demoplutocratico che non ha esitato, per i suoi sordidi fini, a mettere in conto le centinaia di migliaia di morti, le vaccinazioni di massa, le chiusure delle attività economiche, il sovraffollamento  delle strutture ospedaliere e quant’altro è successo dall’inizio della crisi sanitaria.

Ma verrebbe naturale una domanda: per i   profitti di Big Pharma farebbe tanta differenza produrre ivermectina anziché vaccini? Oppure questo farmaco miracoloso nasce sugli ulivi infettati  dalla xylella?

LE MENSE

In agosto le Federazioni nazionali dei metalmeccanici hanno reso noto un documento intitolato “Leonardo” (perché riferito al personale di quel gruppo di eccellenza dell’industria italiana). Dopo aver ricordato – giustamente – quanto è stato compiuto in quell’impresa per poter lavorare in sicurezza e contrastare l’espansione dei virus, i sindacati si sono sostituiti al governo, alla comunità dei virologi, alle istituzioni sanitarie per indicare la nuova strategia nella lotta al Covid-19.

Poiché sono in arrivo, a ottobre, terapie farmacologiche in grado di curare i contagi con effetti lievi non si giustificano le misure assunte («con effetti devastanti») per le mense. In verità – a mio avviso – se il Green pass diventa obbligatorio per accedere in azienda, non ci sarebbe la necessità di presentarlo all’ingesso nella mensa.

Se non ho capito male, le federazioni dei metalmeccanici, con quel documento, si sono candidate per il Nobel della medicina. In sostanza, dicono, occupiamoci più della cura che della prevenzione. Perché fare tanto casino per un po’ di febbre che si cura con una pillola e se necessario un clistere?

LA NUOVA BIBBIA

Vanno a ruba le copie del libro di Massimo Citro “Eresia. Riflessioni politicamente scorrette sulla pandemia di Covid-19”, dove l’autore svela con argomenti inoppugnabili «di che lacrime grondi e di che sangue» la grande congiura del secolo. Certo, il saggio non è paragonabile ai capolavori di questo genere letterario, come “I Protocolli dei Savi di Sion” e il “Mein Kampf”; ma Citro è sulla buona strada.


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