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L'ospedale Cardarelli di Napoli

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Vietato curarsi in Campania. Non ci sono più dubbi: ci sono le prove. Accade a Napoli il 30 gennaio scorso: «Buongiorno, dovrei fare una risonanza magnetica, per mia madre, ha una occlusione intestinale, sto arrivando».

«No, mi scusi non possiamo farlo, abbiamo finito il tetto già da una decina di giorni, deve andare al Pronto soccorso o prenotarsi al Cup».

Il paziente che telefona a uno dei più importanti centri diagnostici del napoletano resta basito. A questo punto non resta che cambiare strada. Cerca il Centro Unico di Prenotazione (Cup).

Va su internet seguendo le indicazioni date da Nino Postiglione, direttore generale di tutela e salute in regione Campania, trova il sito di Soresa.it., la piattaforma digitale messa su dalla Regione. Non trova il Cup. Due sono le soluzioni: o paga di tasca propria (e una risonanza magnetica non è una cosa da poco) oppure deve aspettare giorni per provare non a fare l’esame (magari) ma a riprenotarsi, sperando che altri non lo abbiano fatto prima e quindi anche febbraio salta.

A metà gennaio il Cardarelli, il maggiore ospedale della Campania e del Mezzogiorno, ha chiuso il pronto soccorso perché saturo. Come è possibile che, in piena pandemia, anche le strutture in convenzione siano bloccate? Tutto per la delibera 599 dello scorso 28 dicembre, che fissa tetti di spesa per struttura e non per branca e, senza dettare regole precise, tenta di far passare tutto per il Cup. Facile a dirsi. Il punto è che se si va sul sito di Soresa il Cup non esiste, né è chiaro quali esami o visite specialistiche dovrebbero essere prenotate, comprese quelle delle strutture in convenzione.

La delibera (dove è riportata una versione di fantasia, ovvero che le associazioni di categoria erano d’accordo) sarà impugnata davanti al Tar dalle stesse associazioni di categoria e prevede un tetto di spesa per singola struttura, diviso in dodicesimi. Facciamo un esempio: se un semplice laboratorio ha un tetto di 120mila euro in un anno, in un mese l’importo in convenzione è pari a 10mila euro, ma se la struttura ha utenti che chiedono esami di un certo tipo che superano la cifra dovrà comunque prenotarli per il mese successivo.

In poche parole, la salute è garantita a chi paga. Per semplici esami si può pure “cedere” e pagare 30, 40 euro, ma per un check up che riguarda il cancro, il tumore alla prostata, alla mammella, una occlusione intestinale non posso che rivolgermi all’ospedale, mettermi in lista di attesa o rivolgermi al Pronto Soccorso se non è pieno (impossibile due anni fa, figurarsi adesso).

È chiaro che il provvedimento della regione Campania tenta a suo modo di rispettare la spending review, imposta dall’Europa, disobbedendo però alla Corte Costituzionale che difende il diritto alla salute, svincolando da un mero e semplificato calcolo di bilancio. Figuriamoci poi in momento come questo in piena pandemia, che gli ospedali sono saturi, che non c’è personale sufficiente. E soprattutto che manca un piano strategico. Perché se è vero che bisogna potenziare il pubblico è vero pure che questo non accade con la bacchetta magica e immediatamente. Allora c’è da chiedersi nel frattempo come si intende curare i campani, con una emergenza sanitaria ancora in essere, con liste di attesa che senza il covid erano giù sature.

Intanto il presidente nazionale di Federlab, Gennaro Lamberti così come l’Associazione Sanità Privata Accreditata Territoriale (Aspat) oltre a preparare il ricorso al Tar contro la delibera 599, ha deciso di rivolgersi al garante della concorrenza proprio contro il sistema dei tetti di spesa del sistema sanitario campano e aggiunge: “È indispensabile che la Regione convochi al più presto un tavolo con le associazioni di categoria per rivedere quello che definisce folle e scriteriato meccanismo di ripartizione del fondo”.

Ad oggi chi si presenta fuori ad un laboratorio in convenzione si trova ad essere rimandato indietro, anche se deve fare esami urgenti. Già urgenti, sapete che accade se il medico di base su una impegnativa segna la parola urgente? Deve far finta che non esiste. Perché le liste di attesa sono lunghe, lunghissime.

Uno studio dell’Osservatorio “sui tempi di attesa e sui costi delle prestazioni sanitarie nei sistemi sanitari regionali”, condotto da Crea, commissionato dalla Funzione Pubblica Cgil e dalla Fondazione Luoghi Comuni” mette in evidenza che il privato batte il pubblico, se parliamo di tempi di attesa e anche di rapporto qualità prezzo delle prestazioni. Le regioni interessate allo studio sono quelle del Mezzogiorno e i numeri sono incredibili. Se per un esame, infatti, la media dei giorni di attesa per una struttura pubblica sono 65 giorni, in una privata in convenzione (il cittadino paga solo il ticket se lo deve) sono solo 32. Suona ben poco divertente quel “regole uguali per tutte” dichiarato dall’assessore al Bilancio della regione Campania, Ettore Cinque. L’assessore dimentica che l’unica regola e garantire il diritto alla salute dei cittadini e non risparmiare sulla loro pelle per far quadrare i conti.

Sappiate che questi dati sono prima della pandemia. Ad oggi la situazione è assolutamente fuori controllo, basti pensare che a metà gennaio il Cardarelli ha chiuso per qualche giorno il pronto soccorso perché saturo. La Regione starà pure monitorando, ma come si fa a indicare che per tutte le prestazioni (come vuole la nuova delibera) bisogna prenotarsi in un Cup che non esiste ancora online? Non sarebbe stato meglio, in attesa del potenziamento di mezzi e risorse umane e soprattutto dell’emergenza, togliere i tetti, invece di ingolfare ancor di più le liste di attesa che già prima del covid erano inadeguate?

Infine, ma non ultimo per importanza, come si fa a imporre un tetto che è stato ritenuto non adeguato al fabbisogno da una sentenza del Consiglio di Stato nel 2019, prima della Sars. E come non considerare, per buon senso, che è meglio potenziare la sanità sui territori per riservare agli ospedali le vere emergenze e interventi e non sovraccaricare i Pronto Soccorso. Le associazioni di categoria e il Tribunale del Malato adesso chiedono un tavolo di confronto reale, anche nel rispetto delle passate sentenze, con il governatore Vincenzo De Luca. Perché in Campania, è chiaro, che o sei ricco o muori.


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