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Nella conferenza stampa di fine anno il presidente Mario Draghi non poteva evitare – come è riuscito a fare tante volte nei dieci mesi del suo governo – di fornire qualche ragguaglio sul tema delle pensioni, anche perché era reduce da un incontro con le organizzazioni sindacali, da cui i segretari erano usciti soddisfatti, compresi i “compagni di merende” che erano tuttora freschi della proclamazione dello sciopero generale “più pazzo al mondo”.

Peraltro un incontro durato un’ora o poco più durante la quale i protagonisti si erano accordati sull’apertura di ulteriori tavoli (sulle pensioni se ne sono allestiti tanti che messi in fila percorrerebbero più volte l’Equatore) rinviano al giorno dopo il calendario, anche Draghi aveva indicato la delegazione del governo nelle persone dei ministri Franco, Orlando e Brunetta, assistiti da Garofoli e Leonardi a livello operativo/tecnico.

In sostanza Palazzo Chigi avocava a sé la trattativa, anche se “il nonno al servizio delle istituzioni” (come Draghi definisce se stesso) non se la era sentita di garantire la sua presenza né di smentire la sua assenza. Dopo l’incontro da tutti i campanili d’Italia erano suonate le campane a morto per la riforma Fornero. Finalmente – dicevano i leader sindacali e i loro prosseneti – anche Draghi è d’accordo per abolire quelle norme che tanto a lungo abbiamo combattuto. Invece, ci saranno delle sorprese. Basta leggere tra le righe e meditare sul significato dei concetti, per rendersi conto che Draghi non intende affatto tornare indietro di trent’anni come avverrebbe se fossero accolte le proposte dei sindacati, ma vuole andare avanti sulla linea tracciata dalla riforma del 2011.

Vogliamo fate la prova del 9? Qualche imbonitore di talk show chieda all’ex ministro Elsa Fornero che cosa pensa delle dichiarazioni di Draghi; con suo grande stupore la troverà concorde, perché la sua e quella di Draghi si iscrivono nella medesima visione strategica, al di là dei cambiamenti che potranno riguardare le singole norme. I provvedimenti sulle pensioni introdotti nella manovra – ha ricordato Draghi – sono di natura transitoria, quindi «che ci fosse bisogno di una riforma più ampia a me pareva normale e per questo il tavolo» con i sindacati «è iniziato. Il mio impegno è quello di mantenere un sistema che sia sostenibile, il vincolo è non rimettere in discussione questa sostenibilità del sistema contributivo».

Quando in materia di pensioni un premier pronuncia la parola “sostenibilità” in rima con “flessibilità” ha già detto tutto, perché si è garantito quale dovrà essere l’esito del negoziato. Il premier ha quindi stigmatizzato la «catena infinita di riforme» degli ultimi trent’anni, perché «questo continuo riformare inietta un’incertezza nelle persone che ha un effetto negativo sulle abitudini di consumo, di investimento e quindi sulla crescita dell’economia», occorre assicurare i pensionati «che il sistema non gli cambi sotto gli occhi ogni tre anni». Draghi – quando ha riconosciuto che quota 102 è una soluzione transitoria – non ha ritenuto opportuno aggiungere che restano tuttora indefinite alcune gravi “mortificazioni” del sistema addebitate al Conte 1: che fare dell’aggancio automatico dell’età e dell’anzianità ora congelati rispettivamente fino al 2024 e al 2026?

A suo tempo venne ritenuta una misura essenziale per la sostenibilità: cosa succederà alle scadenze? Quanto ai punti della riforma, Draghi ne ha indicati quattro: “maggiore flessibilità in uscita; come si riesca ad organizzare, problema aperto, un sistema che garantisca un certo livello di pensioni per i giovani e per coloro che hanno attività precaria; cosa si può fare per riprendere la strada sulla previdenza complementare; come si va a evitare che sia punito» chi una volta in pensione continua a lavorare. Il premier ha poi assicurato che una volta raggiunto un accordo con i sindacati, le conclusioni «verranno condivise con le forze politiche».
Su tutte queste priorità aleggia nel pensiero dell’ex presidente della Bce, l’idea che la sostenibilità sia garantita dal calcolo contributivo (prendano nota Bombardieri&Landini: fu il ministro Fornero ad introdurre pro rata il calcolo contributivo per tutti a partire all’1 gennaio 2012).

Draghi ha lasciato più volte intendere che una riduzione “flessibile” dell’età di pensionamento deve essere scambiata col ricalcolo contributivo anche per la quota soggetta al regime retributivo, perché in questo modo ci si avvicina ad un equilibrio attuariale: chi anticipa la pensione e mediamente la riscuote per un numero maggiore di anni, deve accontentarsi di un trattamento iniziale più basso perché ne usufruirà più a lungo. E’ questa la logica del regime contributivo introdotto, col consenso e il protagonismo dei sindacati, nel 1995 dal governo Dini. Si arrivò persino al punto (o tempora! O mores!) che il Parlamento attese – prima di approvare definitivamente la legge n.335 – l’esito (favorevole) del referendum promosso dalle Confederazioni.

Ma sono d’accordo i sindacati con quanto (il ricalcolo) propone Draghi sulla via della sostenibilità?

La Cgil ha messo pure per iscritto il suo dissenso, come se le risultasse nuovo che sottoporre tutto il montante al calcolo contributivo determina nella generalità dei casi una penalizzazione economica. L’Osservatorio della previdenza del sindacato di Maurizio Landini ha sviluppato alcune ipotesi per alcuni numeri di anni in regime retributivo (quelli che dovrebbero essere ricalcolati).

«L’impatto del ricalcolo contributivo, sostiene la nota, diminuisce con il calare dell’anzianità contributiva al 31.12.1995, partendo da una riduzione del 29,3% sul totale della pensione maturata con 15 anni di anzianità contributiva, 18,8% con 10 anni di anzianità contributiva, il 3% con 5 anni di anzianità contributiva».

Alla luce degli effetti sopra riportati per quanto concerne un eventuale ricalcolo contributivo, viene messo a confronto l’impatto sulla spesa pensionistica nel valutare i singoli casi, con l’uscita a 64 anni attraverso il ricalcolo contributivo e quella a 67 anni con la pensione di vecchiaia ordinaria, stimata sull’attesa di vita media: 82 anni. Secondo la Cgil vi è una differenza negativa, per le anzianità di 15 o 10 anni di contribuzione al 31.12.1995, rispettivamente, 19.344 euro e 4.251 euro, di segno opposto con una contribuzione di 5 anni al 31.12.1995: 5.772 euro.

In conclusione, secondo l’Osservatorio della Cgil, dalle analisi proposte si evidenzia che il ricalcolo contributivo ha mediamente un effetto negativo importante anche sulle posizioni miste (con meno di 18 anni di contribuzione al 31.12.1995). Che dire al Trio Lescano del sindacalismo? Avete voluto la bicicletta? Ora pedalate.


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