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Il porto di Gioia Tauro

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Mentre noi dobbiamo ancora decidere se la proiezione mediterranea ci può interessare o no gli altri stanno lavorando alacremente. Si perché é evidente che non basta dire che il Paese é una piattaforma logistica proiettata verso l’Africa a due passi da Suez, se poi non ci si attiva per collegare Augusta, porto con fondali che non si insabbiano e molto profondi, o Gioia Tauro, con il resto dell’Europa, completando quell’alta velocità, che qualcuno impunemente ha fatto fermare a Salerno, per risparmiare i quattrini necessari a collegare “quattro cialtroni meridionali”, non capendo che in questo modo castrava il Paese.

Forse per non penalizzare Genove e Trieste, che però non hanno le caratteristiche necessarie, non ultima la loro posizione geografica, che costringerebbe le maxi navi porta containers ad attraversare mar Ionio e mare Adriatico nel caso di Trieste, o mare Tirreno e mar Ligure per Genova, provocando peraltro un inquinamento ambientale di CO2 notevole e rischi di disastro marino, nel caso di incidente, difficilmente contenibili.

Ma gli altri non stanno a guardare: Tangeri in Marocco sta lavorando alacremente per diventare il primo porto merci del Mediterraneo. I suoi dati fanno paura tanto hanno dimensione quantitativa consistente e danno l’idea di un progetto Paese del Marocco che non può che fare invidia. Infatti tale porto con un nuovo ciclo d’investimenti, concretizzatosi nell’apertura di due nuovi terminal, dovrebbe essere in grado di triplicare le sue operazioni.

Questo significa avere la capacità di gestire entro il 2025 un traffico annuale di 9 milioni di containers, 700 mila tir, un milione di veicoli e 7 milioni di passeggeri. Attività che renderebbe Tangeri il principale porto del Mediterraneo. Con la conseguente numerosa occupazione.

Dall’altra parte dell’Atlantico ci sono i nostri amici “frugali” olandesi che monopolizzano il traffico dell’oceano Atlantico, che proviene dalla costa Est degli USA, ma non rinunciano al traffico del Mediterraneo, malgrado la loro posizione decentrata, fornendo un servizio di eccellenza, che compensa il lungo tragitto a cui sono costrette le grandi navi, che arrivano dalla Cina, dall’India, dal Giappone., dalla Corea, da Taiwan, per raggiungere un porto che teoricamente sarebbe decentrato, certamente molto più di quanto non sia Augusta o Tangeri .

“Il Signore dá il pane a chi non hai denti” direbbe qualcuno ed in questo caso i denti non li ha il Paese Italia, che in una visione eurocentrica e mittle europea, opportuna, ma che non dovrebbe escludere quella mediterranea, come sostiene Svimez, ma che anzi dovrebbe valorizzare la sua posizione di cerniera, ricorda solo che ha la testa nelle Alpi ma dimentica che ha i piedi nel Mediterraneo.

Se ne ricorda solo quando le navi delle ONG, che recuperano i migranti disperati che si incamminano verso il viaggio della speranza, che qualche volta li porta alla morte, per arrivare nella cosiddetta civiltà, chiedono un porto sicuro.

Solo allora sappiamo che Porto Empedocle o Pozzallo sono vicinissimi alla costa nord africana. O quando alla spicciolata in barchini improvvisati ed improbabili i migranti si partono da Susa o Sfax per dirigersi a Lampedusa o da Capo Bon, anche in surf, per raggiungere Pantelleria.

Ma il nostro Paese sa che collegare con l’alta velocità vera, non quella farlocca della De Micheli, quella vera che supera i 250 km orari, costa 50 milioni a chilometro e sa anche che se mette i 50 miliardi necessari per collegare Augusta con Salerno- da lì poi si continua sulla linea già costruita- deve sottrarli magari alla Bergamo- San Candido che serve per le Olimpiadi lombardo-venete, o alla Cremona Milano che tanto interessa al nostro Carlo Cottarelli.

E che poi diventa assolutamente indispensabile superare il tratto di mare di tre chilometri dello stretto di Messina, quello che il direttore del Domani, Mattia Feltri, dichiara a Ray New 24 sia uno spreco che solo la megalomania di Matteo Renzi vuole. Prima era la megalomania di Silvio Berlusconi; cambiano i tempi, i direttori ed i quotidiani, ma la logica é sempre analoga.

E l’invito dell’Unione ad occuparsi del Mediterraneo, formulato con una generosità di risorse mai viste, anche a fondo perduto, per collegare le aree periferiche, da Angela Merkel e da Emanuel Macron, sembrano lasciare indifferenti i nostri policy- maker che non riescono a cambiare approccio e finalmente ad adottare quel pensiero orizzontale che serve e che faccia cambiare la logica , ormai vecchia, della locomotiva e dei vagoni, della Milano da bere e del forza Vesuvio.

Ma intanto “panta rei”, il tempo scorre ed i treni passano e non sempre tutto é recuperabile perché il lento ma inesorabile declino che ha colpito la nostra realtà, adesso, come un tumore in metastasi, sale per lo stivale e sta facendo ammalare tutto il Paese che arretra, anche nelle regioni più forti, nel reddito procapite rispetto alla media europea.

Complice un Mezzogiorno che doveva rappresentare un mercato domestico interessante per l’apparato produttivo del Nord, ma che impoverendosi perde anche il ruolo di mercato di consumo, buono solo per ospitare i rifiuti radioattivi in un equilibrio tra le diverse parti del Paese, che si attua solo nelle situazioni peggiori.
Mentre se il il Governo si azzarda a togliere qualche centinaio di milioni alle decine di miliardi che ha dato a Genova si scatenano con dichiarazioni ultimative. «I soldi per costruire la diga nel porto di Genova sono a rischio. Dopo lo stop alla Gronda e lo slittamento del Terzo Valico al 2024, il declassamento di Genova è la novità con cui il Governo apre il nuovo anno». Così Edoardo Rixi, responsabile nazionale Infrastrutture della Lega, fa riferimento all’ultima bozza del Recovery Plan, che quasi dimezza i fondi per l’opera. «E il resto chi ce lo mette? La diga è necessaria, altrimenti le navi di nuova generazione sceglieranno altri scali. Un Governo che toglie i soldi per la nuova diga nel porto di Genova e che resta inerte davanti all’isolamento infrastrutturale della Liguria è un Governo ostile ad aziende, imprenditori, commercianti e professionisti della regione» conclude Rixi.

In una difesa legittima dei propri territori che fa vedere come la coperta è corta ma che non trova reazioni analoghe, quando si tratta di tagli per il Mezzogiorno.
Ricorderemo tutti come Monti tagliò il finanziamento al ponte sullo stretto e bloccò una opera già iniziata, senza che si levasse un grido di dolore, malgrado il rischio di penali milionarie e di perdita di credibilità internazionale di un Paese che cancellava un appalto gia assegnato. E dalla storia sembra non abbiamo imparato nulla.


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