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Il vicepremier Matteo Salvini durante la visita negli Stati Uniti

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La missione negli Usa era stata un successo.  Matteo Salvini era convinto di aver persuaso gli interlocutori americani di essere lui – il Capitano – la “quinta colonna” di Donald Trump nel cuore di quell’Unione europea  che l’inquilino della Casa Bianca detesta (non ha esitato a confermarlo poche settimane or sono da Londra).  Al suo rientro in patria – dimessi gli abiti del ministro degli Esteri ed indossati quelli del titolare dell’Economia – Salvini non aveva esitato un solo istante a dichiarare che la prossima legge di bilancio sarebbe stata d’impostazione trumpiana. 

IN MANICHE DI CAMICIA

E si era presentato, in maniche di camicia, all’Assemblea della Confartigianato a smentire quanto aveva detto prima di lui Luigi Di Maio. Salvini è notoriamente un tifoso del Milan, ma da un po’ di tempo ricorda un celebre allenatore dell’Inter di Angelo Moratti:  Helenio Herrera, il quale ripeteva ossessivamente la parola ‘’movimiento’’ come Salvini si è messo a fare infilando la promessa di tagliare le tasse ogni volta che apre bocca (e sono tante). Per  il vice premier (che non si esime dalla supervisione di tutta l’attività di governo, sia pure della posta altrui) l’introduzione della flat tax è diventata una specie di scongiuro, di quelli che cacciano il malocchio, al posto dell’aglio, guariscono dai ‘’colpi della strega’’ e fanno sparire quei fastidiosi orzaioli che sbocciano all’improvviso sulle palpebre.

Che poi la flat tax serva alle imprese per poter investire, produrre ed assumere lavoratori, non è dimostrato da nessuno studio, a meno che non si intenda – per la seconda volta – ridurre le tasse alle famiglie perché possano spendere di più e rilanciare quel mercato interno che ha continuato a sonnecchiare anche dopo quota 100 e il RdC. Stando poi alle indiscrezioni che circolano sul piano Siri, la flat tax consisterebbe in una riduzione delle aliquote di chi già oggi ha in carico una quota minore del gettito e in un incremento per quei contribuenti che, in pratica, garantiscono le entrate preponderanti  della imposta sul reddito (solo per dare un’idea: i percettori di un reddito lordo pari o superiore a 100mila euro, sono l’1% dei contribuenti e pagano il 20% circa di tutta l’Irpef). 

Le imprese non sanno che farsene della flat tax: gradirebbero una riduzione del c.d. cuneo fiscale tra costo del lavoro e retribuzione netta (per inciso: il 75% di questo differenziale –  vero killer del lavoro-  è dovuto alla contribuzione previdenziale). Ma l’alleato ‘’giallo’’ di Salvini è pronto a garantire per legge un salario orario di 9 euro lordi che costerebbe al sistema delle imprese circa 4 miliardi e che secondo l’Ocse sarebbe tra i più elevati nei paesi sviluppati.  Dal canto suo, l’Inapp ritiene un  adeguamento  delle retribuzioni a 9 euro lordi riguarderebbe  il 25% degli occupati di imprese fino a 10 dipendenti  e il 3%  di quelli nelle imprese più grandi.  Tanto che la proposta non è neppure riuscita a lusingare i sindacati. Certo, Salvini ha detto che di smic (il salario minimo garantito) all’italiana si parlerà più avanti dopo aver ridotto le tasse. 

LA PAX STELLE E STRISCE

Ma anche questa sarà materia di contrasto all’interno di un’alleanza dove i protagonisti giocano ormai ognuno per proprio conto. Intanto, il rientro del nuovo console  onorario dell’Amministrazione americana, con l’incarico di imporre la pax americana alle istituzioni europee, è stato funestato da due vicende: in Portogallo, Mario Draghi (ormai divenuto il «difensore della fede» del Vecchio Continente) ha annunciato che la Bce riaprirà i flussi del QE per sostenere l’economia europea; a Londra  un Giovanni Tria, più sornione del solito, ha dato assicurazioni a destra e a manca che l’Italia seguirà le regole e comunque non farà nulla di testa sua. La mossa di Draghi ha fatto rizzare i capelli a Trump, perché il valore dell’euro è sceso nel cambio con il dollaro, favorendo così la capacità competitiva delle imprese europee.  Gli europeisti sono vigili. Mica stanno – come si dice a Roma – a pettinare le bambole. 


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