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«Gli è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare» diceva il grande Gino Bartali. Poi questa è diventata una frase utilizzata da parte di chi si lamenta sempre e non è mai contento di nulla. E chi la dice suscita pure fastidio, perché sembra il grillo parlante di turno, che sa tutto, unico ad avere l’esclusiva della verità. Ma forse è proprio il caso di ripeterla oggi questa frase. Per aggiungere poi che non basta lamentarsi e che forse è necessario capire che bisognerà fare un’inversione a 180 gradi nel nostro Paese. Abbiamo pensato che alcuni valori ai quali ci avevano educati i nostri genitori fossero superati, ormai obsoleti come la famosa lettera 22 dell’Olivetti o come la Divisumma, utili solo come pezzi di modernariato, dopo l’avvento di internet.

Si ci dicevano allora “studia perché da lì verrà il tuo bene”, ”impegnati”, “ preparati”, “laureati”, “non perdere tempo”. Improvvisamente il valore della competenza è stato sostituito dall’improvvisazione al potere! Si è passati a “questo lo dice lei “ a uno che ha studiato tutta la vita; dal successo di cosiddetti influencer, che non si capisce cosa hanno mai fatto per essere tali, al diventare un’offesa essere chiamati professori anzi professoroni. Il populismo ha portato al potere una classe dirigente d’improvvisati statisti, che hanno semplificato le cose complesse, per trovare soluzioni improbabili, che hanno manifestato in poco tempo tutta la loro inadeguatezza. Ed è diventato un insulto essere chiamati politici della prima repubblica, dimenticando che proprio questi erano stati, con mille errori anche, quelli che ci avevano portato nell’Euro.

Spazzati via da mani pulite questi uomini, abbiamo buttato via l’acqua sporca con il bambino. Il Covid 19 ha cancellato tutto questo in un attimo e nei talk show hanno fatto la loro comparsa esperti, gente che da una vita sta nei laboratori, apprezzata spesso più all’estero che in Italia. E coloro che hanno semplificato troppo, come qualche virologa di casa nostra, hanno dovuto fare marce indietro indecorose. Perché è il tempo della competenza e della professionalità! È il tempo di chi ha studiato e si è preparato. È di nuovo sarà il momento, speriamo, delle scuole di formazione, dei master e dei dottorati. Il tutto da rifare riguarderà anche il modello di sviluppo che ha scelto questo Paese. Quello della locomotiva e dei vagoni ha dimostrato tutta la sua fragilità, quello dell’unica capitale morale e produttiva : Milano, sulla quale investire, pericoloso; quello della concentrazione dell’attività produttiva in una sola parte fragile. Quello dell’idea di «venite a Milano perché qui si lavora», drammaticamente infantile, perché nel momento della difficoltà poi riempiamo i treni, i bus di “terroni” che porteranno il contagio in tutto il Paese, aggravando la situazione e bloccando ogni tipo di attività. Dicevo che il coccodrillo Italia rischiava di affogare: è avvenuto. Ora è sott’acqua in terapia intensiva e salvarlo sarà un’ impresa titanica. Il Papa affida il Paese ed il Mondo alla divinità e per i credenti è un atto dovuto. Ma c’è un proverbio che dice “aiutati che Dio ti aiuta”. e noi certamente non ci siamo aiutati. Da qui bisogna ripartire, perché non è pensabile che si sia scelta la strada di lasciare un terzo del Paese marginale e periferico, spostando nelle sue aree soltanto le produzioni più inquinanti, parlo di Taranto, di Priolo, di Milazzo, costruendo delle cattedrali nel deserto invece di costruire le cattedrali e bonificare il deserto.

Peraltro concentrando tutto in una zona, con un clima difficile, che pare abbia favorito la diffusione del virus, ammassando un numero di abitanti particolarmente elevato, con un conseguente eccessivo uso del suolo, che era chiaro non sarebbe stato il meglio che si poteva fare. Appena finirà la buriana, il must dovrà essere l’accoppiata Napoli e Milano, Bergamo e Bari, Brescia e Palermo. Gli altri, con problemi analoghi, lo hanno cercato di fare valorizzando Valencia e Siviglia, oltre che Barcellona. Costruendo la prima alta velocità ferroviaria tra Siviglia e Madrid e non tra Madrid e Barcellona. E in un momento in cui gli europei è probabile che si chiudano nei propri confini, valorizzare un mercato interno importante come quello dei 21 milioni di abitanti meridionali non è cosa indifferente. Invece noi lo abbiamo indebolito negli ultimi anni, con il crollo del reddito pro- capite, tanto che una forza politica ha avuto consensi elevati nelle elezioni con la promessa di un reddito di cittadinanza, unica alternativa possibile alla difficoltà di sopravvivenza; e da far emigrare , si emigrazione non mobilità, 100.000 persone formate ogni anno, come ci ricorda la Svimez, sottraendo al Sud 20 miliardi l’anno per la formazione di tali professionalità che non riesce ad utilizzare. Costruendo un sistema sanitario al Nord sulle risorse, che dovevano essere date al Sud, spesso finanziando una sanità privata estrattiva, per poter poi incoraggiare i viaggi della speranza. Dimenticando di poter essere al centro del Mediterraneo da protagonisti ed invece diventando subfornitori della Baviera. Forse è il momento di imparare la lezione. Saremo capaci?


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