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Bonaccini, Zaia e Fontana

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Coprifuoco, piazze chiuse o transennate, nuove e vecchie zone rosse, regole sempre più stringenti per ristoranti, palestre, piscine, autocertificazioni di ieri e di oggi. Persino le Rsa, le sventurate residenze sanitarie per fragili e anziani, compreso il disgraziatissimo Pio Albergo Trivulzio, da ieri di nuovo nell’occhio del ciclone, si sovrappongono. Ripetono in filigrana uno stesso, identico, scenario. E poi ci sono loro: i governatori, con le loro regioni: fabbriche all’ingrosso che continuano a sfornare ordinanze a getto continuo.

LA VOCAZIONE AL MARTIRIO DEL MINISTRO BOCCIA

Sette mesi dopo nulla è cambiato.  L’idea che possa esserci un modello condiviso, una Maginot, un complesso di fortificazioni  dietro le quale trincerarsi, su trasporti, medicina territoriale, didattica a distanza, che si possa insomma arrivare ad una sorta di omogeneità, non li sfiora. Non attraversa la mente dei nostri  (votatissimi) presidenti. Una linea comune da adottare?  Una provocazione, uno smacco, la stravaganza di qualche mattacchione in vena di scherzi.

Da parte sua, il ministro agli Affari regionali Francesco Boccia – come se non bastassero le preoccupazioni per il Covid 19 che gli è entrato in casa, la salute della moglie, l’ex deputata Nunzia De Girolamo contagiata anche lei dal virus – continua indefesso a convocare video-incontri. Più spesso, in realtà, scontri, dimostrando una certa, personalissima, vocazione al martirio. Del resto, combattere la naturale inclinazione al suicidio sociale di certi governatori o super governatori vorrebbe dire capovolgere la quotidiana rappresentazione, rovesciare il tavolo. Sollevare un’onda anomala, stravolgere la spinta autonomista all’Attilio Fontana o alla Luca Zaia, una spinta che non arretra neanche dinanzi alla pandemia. Vogliono essere “padroni a casa loro”, la Terra promessa agli elettori,  salvo dire poi che la colpa è sempre di qualcun altro. Un esempio? L’ultimo dilemma scespiriano, la percentuale di ore della didattica a distanza. Dovrà essere al 50% o al 75%? Questo è il problema. Ci rendiamo conto?

Resta da chiarire se il premier Giuseppe Conte lasciando mano libera abbia voluto piegarsi a questo sfasciume  per poi al momento buono prenderne le distanze. O se invece sia frutto di un cedimento. Certo fa strano sentire uno come il presidente ligure Giovanni Toti, uno che accorpa in sé anche le deleghe alla Sanità e al Bilancio, un governatore uno e trino dunque, finito sotto l’assedio dei contagi, prendersela con il governo che non ha fatto abbastanza.

 Se lo Stato è il soggetto loro, i super governatori, vogliono essere il predicato verbale. Al punto che la Conferenza Stato-Regioni, fino a qualche mese con semplici funzioni di coordinamento territoriale, va assumendo ruoli fino a ieri inimmaginabili, arrogandosi pareri e poteri di veto che non ha mai avuto.

E la politica?  Il Dem Andrea Orlando ha iniziato a dare la scossa, a criticare questo impasto di protagonismo e federalismo. Fermo restando che finché si continua ad indugiare ci sarà sempre qualcuno pronto a mettersi al posto di guida.

ARRIVANO I TRACCIATORI

I sette mesi che si sono persi tra un’ondata e l’altra non si recuperano in un giorno e neanche in una settimana. Ma chi, se non proprio loro, i governatori, dovevano pensarci? Ai trasporti, agli ospedali, ai 1600 ventilatori spalmati a pioggia dal commissario Domenico Arcuri smarriti in qualche magazzino e non utilizzati, ai banchi di scuola con o senza rotelle?

Tra le promesse sciolte nell’aria va annoverato in primo luogo il tracciamento.   Solo ieri il ministro Boccia e i presidenti delle Regioni hanno contemplato la possibilità di assumere circa 2000 persone da impiegare in questa ricerca strategica del virus invocata da Crisanti. Il filo invisibile che doveva collegare un possibile contagiato all’altro non si trova, s’è perso. O meglio nessuno lo ha cercato.  Sarà un caso ma in Germania, la Merkel sulle tracce del virus ne ha messi diecimila in piena estate. Da noi la App Immuni, scaricata da poco più di 9  milioni di italiani, funziona a scartamento ridotto. Ha prodotto finora un migliaio di segnalazioni e quasi sempre troppo tardi, quando ormai i contatti ci sono già stati. Molti medici di base – che aprono lo studio 11 ore a settimana curando i loro pazienti per lo più  distanza – non sanno neanche di cosa si stia parlando (esperienza personale). O cosa devono fare quando un loro assistito prova a fare il cittadino modello e a mettersi in lista d’attesa per un tampone.

Ecco, appunto, l’altra cosa che non ha funzionato. I tamponi. Rapidi, molecolari, antigenici, di qualsiasi tipo fossero, nessuno escluso. Un dramma, file interminabili, un disastro.

LA MOLTIPLICAZIONE ELETTORALE DELLE GUARIGIONI

È iniziato intanto l’”altro” regolamento di conti, un altro effetto perverso del nostro federalismo straccione. Quello tra governatori e sindaci. «Se ci sono regioni che stanno fallendo è il momento che lo Stato con la Protezione civile nazionale e con le sue articolazioni intervenga – ha sparato a zero il sindaco di Napoli Luigi de Magistris – questo non è il momento delle difese d’ufficio, il Paese nella pandemia deve avere un maggiore coordinamento nazionale». Un accusa pesante, un attacco allo sceriffo campano De Luca? «No, ma la responsabilità è della regione perché il sistema sanitario è regionale, e inoltre paghiamo lo scotto della campagna elettorale. Per mesi si sono taciuti una serie di eventi perché qui si doveva fare la campagna elettorale. Ai primi di settembre ci dicevano che era tutto sotto controllo mentre noi avevano dati che ci dimostravano come il contagio avesse ripreso a salire». Già. La moltiplicazione delle guarigioni. L’ultimo miracolo dei governatori.   


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