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Dati aggiornati non ce ne sono. Ordinanze di custodia cautelare nemmeno, perché prima che le indagini di sistema possano svilupparsi passano anni dai fatti contestati, e c’è bisogno di ascoltare e riascoltare fiumi di intercettazioni, di vagliare e soppesare dichiarazioni di collaboratori di giustizia eventualmente convergenti e, sopratutto, di raccogliere i necessari riscontri investigativi.

LE AZIENDE

Ma il polso della situazione gli inquirenti che stanno combattendo ai fianchi cosche tra le più agguerrite della ‘ndrangheta, con proiezioni nelle regioni del centro e nord Italia, ce l’hanno.

L’estorsione e l’usura, core business della ‘ndrangheta, come sono cambiate in tempi di pandemia? La risposta è semplice. Non è più il componente dell’organizzazione mafiosa ad andare dalla vittima, ma è questa a rivolgersi al suo aguzzino per chiedergli di intervenire dando fondo ai capitali illecitamente accumulati per praticare l’usura, ciò che costituisce la premesse perché il mafioso possa poi rilevare beni e aziende con manovre estorsive, in tal modo ulteriormente alterando la libera concorrenza tra operatori economici sul territorio e indebolendo i meccanismi di protezione dei lavoratori-dipendenti.

Considerate le enormi liquidità a loro disposizione, insomma, e considerati i ritardi della burocrazia e del credito, sono i mafiosi che arrivano prima delle banche e del Governo a sopperire alla crisi dei piccoli commercianti e delle aziende di piccola o media dimensione, in tempi di emergenza sanitaria ed economica. Perché non hanno bisogno di garanzie per erogare le risorse per il salvataggio di imprese ed esercizi commerciali, mentre le procedure amministrative difficilmente consentono nell’immediato di far fronte alla crisi. I riflessi delle tardive misure volte a contenere la pandemia fanno sentire il loro peso anche sulle realtà economiche del centro-nord Italia, con il relativo pericolo di aggressione da parte dei capitali mafiosi. Perché, come emerge dalle inchieste delle Dda di mezza Italia, le mafie vanno là dove c’è la polpa da succhiare e si radicano sempre più spesso nelle regioni più ricche. Ma a questo punto, se è la vittima ad andare all’aguzzino e non questo a muoversi prima per andare a vessarla, diventa ancora più difficile per gli inquirenti venire a capo degli autori dell’usura e dell’estorsione.

Perché se le denunce prima erano poche, lo sono ancora meno ora se è l’imprenditore stesso a proiettarsi nelle grinfie degli usurai e dei mafiosi.
Siamo, dunque, già oltre la “mafia silente”, concetto su cui ha insistito la Corte di Cassazione in alcune pronunce per definire una particolare manifestazione del metodo intimidatorio che caratterizza principalmente le organizzazioni mafiose che operano al Nord e che più che adottare minacce e violenze esplicite si avvalgono della fama evocata dal legame con la casa madre della ‘ndrangheta di cui sono gemmazione. Anche se talvolta non disdegnano l’uso della forza, le “filiali” della ‘ndrangheta al Nord.

STORIA EMBLEMATICA

La mafia silente è quella che non ha bisogno di chiedere, basta la presenza. La mafia ai tempi della pandemia, invece, almeno questo è il sentore che trapela da autorevoli ambienti investigativi, è quella che non ha bisogno di individuare la vittima da assoggettare perché è questa ad andare a consegnarsi all’aguzzino.
C’è un episodio, contestato nell’ordinanza di custodia cautelare della Dda di Venezia che nei giorni scorsi ha portato all’opeazione “Isola scaligera”, contro la cellula veronese della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, che denota la capacità intimidatoria del clan in quanto era addirittura un agente di polizia penitenziaria, conoscendo lo spessore criminale degli indagati, a suggerire alla titolare di una sala slot di non denunciare. Figuriamoci cosa potrebbe succedere ora che sono gli imprenditori stessi a rivolgersi a boss e gregari al Nord.


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