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Giorgio Gaber, morto il Primo gennaio 2003 all'età di 64 anni

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«IO NON mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono». Questi versi della canzone di Giorgio Gaber (datata 2003) la dicono tutta sull’Italia di ieri, di oggi e chissà anche di domani, se neanche con la scossa dei fondi europei riusciamo a scuoterla per cambiarla.

Quanti di noi non si sentono italiani, vuoi perché il Paese è prigioniero della burocrazia, vuoi perché è gestito da politici e burocrati che pensano solo alle poltrone e a complicare la vita degli italiani. Una classe politica e dirigenziale che non sa prendere decisioni, che si becca come in un pollaio con le elezioni come unico pensiero e obiettivo.

Nel «per fortuna o purtroppo lo sono» c’è tutta l’Italia e l’italiano. C’è la bellezza del clima, del mare e dei monti, del sole e delle scogliere. C’è la bellezza dell’arte che ti lascia a bocca aperta. Dal Romano al Rinascimento, dal Barocco al Neorealismo. Orgoglio della patria, così come la nazionale di calcio, la moda e l’artigianato, l’arte di arrangiarsi e la creatività degli italiani.

Nel «purtroppo lo sono» invece c’è la disperazione di non vedere mai l’uscita del tunnel, di pagare delle tasse elevate per poi ricevere dei servizi scadenti, di vedere scappare all’estero i migliori cervelli. Di vedere l’Alta Velocità che si ferma a Salerno. La banda larga ultraveloce che diventa un lusso per pochi invece che un servizio per tutti, anche per chi non vive nelle grandi città. La didattica a distanza ha messo a nudo il problema.

«Un Bel Paese pieno di poesia ma che nel mondo occidentale è la periferia», per citare ancora Gaber che ammette la sconfitta dell’Italia quando sentenzia: «Non vedo alcun motivo per essere orgogliosi».

Il mitico G.G. se la prende anche con il Mameli: «Non sento un gran bisogno dell’inno nazionale di cui un po’ mi vergogno». Per poi radere al suolo i politici e i parlamentari, la vera zavorra di un Paese che non cresce e che paga le loro incompetenze. «Ma questo nostro Stato che voi rappresentate mi sembra un po’ sfasciato. È anche troppo chiaro agli occhi della gente che tutto è calcolato e non funziona niente… Persino in parlamento c’è un’aria incandescente, si scannano su tutto e poi non cambia niente… il grido ‘Italia, Italia’ c’è solo alle partite».

Attualissima anche la frase «Abbiam fatto l’Europa, facciamo anche l’Italia», che si potrebbe tradurre come una invocazione al governo, all’opposizione, alle task force e alle Regioni a sfruttare al massimo i soldi del Next Generation Eu. In modo da poter finalmente dire: Io mi sento italiano.


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