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Il Comune di Salerno

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Con il via libera all’unanimità della Commissione parlamentare per l’attuazione del Federalismo fiscale al nuovo modello di riparto del Fondo di solidarietà comunale (Fsc), i Comuni del Sud possono contare su circa 700 milioni in più (695 per la precisione) per finanziare i servizi sociali (asili nido esclusi) e di viabilità e territorio.

Più soldi, quindi, da destinare a servizi per gli anziani, la viabilità, assistenti sociali, servizi per i meno abbienti, la protezione civile, la tutela ambientale. E ridurre il divario sui diritti di cittadinanza.

GARANTIRE UGUALI DIRITTI

Grazie ai fondi aggiuntivi per i servizi   dei Comuni previsto nell’ultima legge di bilancio – pari a oltre 600 milioni – che va ad aggiungersi alla dotazione di circa 6 miliardi del Fsc, con il nuovo criterio di riparto i Comuni meridionali guadagno risorse senza tuttavia sottrarli a quelli del Nord. Si riduce però significativamente, nell’ordine di 700 milioni, la sperequazione tra i Comuni. A trarne i benefici maggiori saranno soprattutto quelli della Puglia, della Calabria e della Campania.

Un primo passo verso il superamento della spesa storica, una “rivoluzione” che consente al Sud di avvicinarsi a quegli standard che gli consentono di garantire ai suoi cittadini parità di diritti.

 «Le battaglie sociali di quotidiani importanti, della migliore intellighenzia del Mezzogiorno, dell’associazionismo civile e di quanti impegnati in politica su questo fronte hanno issato la bandiera dei diritti pagano – ha affermato Paolo Russo, vicepresidente della Commissione per l’attuazione del Federalismo fiscale – Il tema è garantire uguali diritti. Siamo solo agli inizi, perché sono solo due i parametri interessati, le politiche sociali, esclusi gli asili nido, e la viabilità e il territorio, ma è evidente che siamo all’inizio di un percorso che inverte una tendenza e lo fa in chiave di Paese, non più il Sud o il Nord contro l’altra parte del Paese. Ma è il Paese che si rende conto che non è possibile lasciare più di un terzo dei cittadini privi di diritti e i Comuni nella condizione di non poter rispondere al bisogno di salute, trasporto, istruzione e assistenza».

LE NOVITÀ METODOLOGICHE

La “rivoluzione” nasce dalla revisione dei fabbisogni standard per il 2021 elaborata dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard (Ctfs) che oltre all’aggiornamento della base dati, ha introdotto alcune novità metodologiche per le funzioni sociale e viabilità e territorio, anche alla luce delle criticità che la crisi provocata dalla pandemia ha reso ancora più evidenti, rendendo necessario intervenire per potenziare i servizi sociali, soprattutto nelle aree più deficitarie, molte proprio nel Mezzogiorno.

Per entrambe le funzioni, la nuova metodologia prevede l’utilizzo di dati relativi a più annualità – finora il riferimento era l’annualità – e la classificazione dei Comuni in gruppi omogenei sulla base di caratteristiche geografiche, demografiche, relative al tessuto economico. In particolare per quanto riguarda la funzione variabilità e territorio per il calcolare il fabbisogno si terrà ora conto delle unità immobiliari e non più della popolazione come variabile di riferimento. In questo modo si riescono a cogliere in modo più bilanciato, e senza intaccare la dotazione di risorse, gli effetti dello spopolamento (leggi emigrazione) – di cui “soffrono” tanti Comuni meridionali, abbandonati dai loro cittadini che cercano un’occasione al Nord – della presenza di costi fissi e della particolare situazione dei comuni turistici, e quindi lo scarto tra residenti e abitanti.

Quanto alla funzione servizi sociali, non si fa più riferimento alle dummy regionali per spiegare i differenziali di spesa ma all’intensità dei servizi offerti e a una più accurata misurazione delle caratteristiche comunali grazie all’uso di una stima su più anni. «C’è stato anche il superamento in maniera più netta della spesa storica in una prospettiva di potenziamento dei servizi», ha spiegato il presidente della Ctfs, Giampaolo Arachi durante l’audizione di fronte alla Commissione.

LE RISORSE

«L’analisi dei dati ha messo in luce differenze sostanziali nell’erogazione dei servizi lungo l’intero territorio nazionale – si legge nella relazione alla Commissione -. In molti comuni l’intensità dei servizi sociali è risultata cosi basse da apparire del tutto inadeguata a quanto richiesto per la tutela dei diritti sociali». Per questo, si evidenzia, la Ctfs ha scelto delle «regole di normalizzazione» che avessero come riferimento non il livello medio storicamente offerto ma il livello di servizi e la spesa standard delle realtà più virtuose. In questo modo la quantificazione dei fabbisogni standard monetari dei servizi sociali è risultata pari a circa 5,8 miliardi, con un aumento del fabbisogno di circa 657 miliardi rispetto alla spesa storica di riferimento. Risorse “integrate” – fino a raggiungere i 651 milioni entro il 2030 – con la legge di bilancio.

LA “RIVOLUZIONE”

Gli effetti delle modifiche introdotte hanno “rivoluzionato” l’assegnazione delle risorse: l’aggiornamento dei dati ha aumentato le assegnazioni dei Comuni medi riducendo quelle dei grossi centri urbani. Nel Fsc, si sottolinea, questa modifica comporta nel 2021 uno spostamento di 40 milioni in senso orizzontale. L’impatto complessivo della revisione del fabbisogno standard dei servizi sociale è stato positivo per quasi tutti i Comuni. Solo alcuni Comuni emiliani e marchigiani registrano variazioni negative, ma si tratta comunque di realtà con un livello di servizi già elevati. Guardando al Sud la situazione cambia in maniera significativa, in quanto «i guadagni più evidenti – si sottolinea nella relazione – sono visibili nei comuni delle regioni meridionali, Campania e Puglia in particolare». Benefici si segnalano, poi, anche in Piemonte.


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