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Il laboratorio del vaccino italiano ReiThera

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Bocciato perché alle casse dello Stato costerebbe troppo poco. È il paradosso del vaccino italiano ReiThera cristallizzato sotto un’ampolla di vetro dopo lo stop imposto dalla Corte dei conti. Per ora non se ne fa nulla anche se il ministro allo Sviluppo economico (Mise) Giancarlo Giorgetti non ritiene ancora sfumato il progetto e parla di nuove forme di finanziamento.

Sullo sfondo resta per il “giallo” per una solenne bocciatura, uno schiaffo a Invitalia e al suo manager l’ex commissario all’Emergenza Domenico Arcuri che avrebbe rilevato il 30% della società e accompagnato la strada italiana al siero anti-Covid.

Una decisione troppo assurda per essere vera. Non il contrario, i costi gonfiati, le cifre che lievitano verso l’alto fino a seguire le traiettorie delle mongolfiere. Ma il contrario. La Corte dei conti che ritiene il progetto di investimento – proposto da Mise, Invitalia e ReiThera – inconciliabile con la condizione posta dall’art. 15, comma 1, del DM 9 dicembre 2014. Ovvero la norma che regola le norme in materia di aiuti di Stato e contratti di sviluppo, in base al quale le spese sono ammissibili ma solo «nella misura necessaria alle finalità del progetto oggetto della richiesta di agevolazioni».

Nella fattispecie, il progetto presentato per le finalità produttive e di ricerca da ReiThera riguardava l’intero complesso aziendale e non solo determinate  “unità produttive”. In particolare, l’acquisto della sede operativa di in Castel Romano (RM), costo 4 milioni di euro. Per la Corte questo acquisto non è finalizzato alla produzione, all’infialamento e confezionamento del vaccino, «come sostenuto dall’Amministrazione», ma riguarda l’intera sede dove si svolgono le attività della società. Attività, si sottolinea, che  «nel 2019 hanno riguardato essenzialmente ricerca e sviluppo per conto della società controllante Keires A.G.» , come riportato nella relazione di Invitalia. E dunque va scorporato.

DIETRO LA BOCCIATURA. L’INTERESSE TIEPIDO DEL MISE

Bocciato dalla Corte dei Conti l’acquisto della sede, è venuto meno anche il secondo requisito: il raggiungimento della soglia minima di 10 milioni di euro prevista dallo stesso decreto. Per la realizzazione dell’impianto di infialamento la società aveva previsto infatti una spesa di 7.734.126,68 euro, dunque al di sotto di quanto prescritto dall’art. 5, comma 3. «L’assenza di un valido e sufficiente investimento produttivo non ha, pertanto, consentito di ammettere al visto di legittimità  l’atto  in esame», è la gelida conclusione dei giudici.

Che dietro la vicenda vi sia una nebulosa è di tutta evidenza. Anche perché, se avesse voluto, il Consiglio dei ministri avrebbe potuto comunque imporre la “registrazione con riserva” ritenendo, in periodo pandemico, la questione di interesse nazionale. Non lo ha fatto e ora il vaccino rischia di non essere prodotto o di risultare obsoleto o di arrivare fuori tempo massimo. La Corte dei Conti aveva 30 giorni di tempo per dare il suo parere di legittimità. Ha posto le sue osservazioni al Mise e il ministero ha risposto con un faldone di controdeduzioni, 28 pagine che non sono servite a chiarire le questioni in sospeso e a rovesciare il verdetto dei giudici, chiamati a valutare la conformità esulando da considerazioni scientifiche.

La proposta è stata inviata quando al Mise c’era Stefano Patuanelli (5Stelle). Ora c’è il leghista Giancarlo Giorgetti che ha sempre sponsorizzato l’idea di un vaccino italiano. E non ha cambiato idea: «Il Mise è disponibile – ha dichiarato ieri dopo aver letto le motivazioni – a contribuire al progetto di ReiThera nelle forme e nei modi consentiti utilizzando diversi e innovativi strumenti previsti anche dalle nuove norme».  

REITHERA: LA SEDE IN SVIZZERA E LE TASSE IN ITALIA

L’accordo prevedeva un esborso da parte dello Stato di 81 milioni di euro, di cui 41 a fondo perduto. Invitalia avrebbe acquistato il 30% di ReiThera, società che ha sede in Svizzera pur essendo a tutti gli effetti italiana. E ora? L’azienda di Castel Romano garantisce: la sperimentazione del vaccino continuerà. Per la fase 3, in attesa di conoscere eventuali sviluppi, si andrà avanti con finanziamenti privati. Ma senza lo Spallanzani, che sin dall’inizio si è tirato indietro e senza gli aiuti di Stato tutto si complica.

Voci raccolte all’interno del Mise richiamano l’attenzione sulla norma inserita nel decreto Sostegni bis che potrebbe velocizzare la strada per la produzione di un vaccino made in Italy assegnando competenze alle fondazioni su farmaceutica e ricerca. Un credito di imposta del 20% sulla ricerca e un fondo da 200 milioni destinato alla produzione. Girato il nome di Enea Biomedical Technologies per la regia. 

Chi resterebbe con il cerino in mano è Invitalia, che era già pronta a trasferire parte del personale a Castel Romano. Resta incerto anche il futuro di ReiThera, controllata al 100% dalla svizzera Keires Ag creata dal professor Riccardo Cortese e gestita ora dai suoi due figli. «Ma lavoriamo in territorio italiano e paghiamo le tasse in Italia», aveva chiarito la presidente Antonella Folgori, dopo una inchiesta di Report. Chiarimenti che forse non sono bastati.


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