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“Il pianto frutta” è una forma di scaramanzia: lagnarsi pare che porti fortuna.

Conosco persone dalle vite agiate che, pur possedendo la barca e una collezione di appartamenti, lamentano povertà in maniera sfacciata e pretendono conforto da chi è più povero.

Più dicono di non avere soldi, più i loro affari aumentano. È come se, lamentandosi di avere sempre il piatto vuoto, sollecitassero qualche mano, dal basso o dall’alto, a rimpinzarglielo.

Con la stessa metodologia, si dolgono di un’unghia incarnita quasi avessero un cancro. Più dicono di soffrire, più godono di ottima salute.

Questi professionisti del pianto, se da un lato sono estremamente accorti a non attirare su di sé l’invidia, dall’altro sono i primi a provarla e ad esercitare le loro iettature per un nonnulla. «Beato te» è la formula che usano di rito, fino al paradosso: «Beata te che lavori» osa piagnucolare l’annoiata ereditiera con la domestica; «Beato te che stai tutto il giorno al sole. Io sto sempre chiuso in ufficio» osa affliggersi il manager, mettendosi a confronto con il bracciante.
Chi soffre davvero cerca il più possibile di non ammetterlo e di non darlo a vedere; nello sforzo di trovare una soluzione, incanala i propri umori nel sudore anziché nelle lacrime.

“Il pianto frutta”, eppure sono contenta di non essere mai riuscita a mettere in pratica questa tecnica scaramantica.

Come si fa a non dire «Sto bene» quando si sta bene e a non ringraziare il cielo per la concessione? Come si fa a non temere che un giorno, a forza di lamentarsi di problemi inesistenti, per punizione i problemi seri bussino alla porta?

A guardarli bene, i professionisti del pianto alla lunga ingannano anche se stessi: entrano tanto nel personaggio che interpretano da non poterne più uscire. La loro voce assume il tono della recita di un rosario, la loro bocca si piega in una smorfia fissa. Diventano incapaci di gioire fino in fondo e totalmente indifferenti al dolore degli altri: sono anestetizzati.

“Il pianto frutta”. Forse è così, ma ho l’impressione che le lacrime finte e strumentali finiscano per allagare le esistenze, rendendole paludose.

È così bello sorridere quando c’è da sorridere, piangere quando proprio si deve, avere rispetto del bene e del male del mondo.


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