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Alberto Sordi

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Ci manca, perché nessuno come lui è riuscito a dare vita alla mediocrità, alla cialtroneria, al paraculismo, alla spregiudicatezza dei lecchini, all’arrivismo degli incapaci, pronti a qualsiasi compromesso e inciucio pur di esserci, di stare a galla. Ci manca Alberto Sordi, perché la galleria dei suoi personaggi era il nostro specchio delle trame, quelle infide; le bassezze elevate a religione di vita. Non c’è più nessuno, se si esclude forse Checco Zalone, che oggi riesca a farci guardare dentro con un sorriso amaro e melanconico.

L’Italia di Albertone, per uno di quei paradossi beffardi, è venuta allo scoperto proprio oggi, a distanza di cento anni dalla sua nascita. Quella passerella di tipi improbabili ora è qui, sotto i nostri occhi: pontifica nei salotti sgangherati e beceri della tv, malandrineggia sui social, fa e disfa il suo universo di valori con la velocità di un clic. Seguendo istinti triviali, con una disinvoltura e una leggerezza incredibili. Mette bocca su tutto, si sente all’altezza di ogni esperto, senza mai rinunciare all’occhietto ai potenti, agli stessi che poi massacra appena cadono in disgrazia.

Se fosse ancora tra noi, oggi Albertone sarebbe il leghista razzista che scopre i meridionali, con il cinismo del reclutatore di bimbi da vendere alle famiglie ricche di oltre oceano, come quel gelido personaggio in L’oro di Napoli. O il venditore senza scrupoli di mascherine e tamponi farlocchi, degno erede del commesso viaggiatore di cannoni e carri armati di Finché c’è guerra c’è speranza.

Farebbe parte del gruppo di onorevoli che ha mandato mezzo mondo a quel Paese (ricordate la sua canzone sul vaffa?) ma che ora si rimangiano tutto e si tengono la quota di stipendio che avevano giurato di donare. Sarebbe il virologo senza certezze ma per ambizione saputello e scaltro, pronto a buttarsi su qualsiasi previsione per poi negarla. Sarebbe il politicante di provincia che ha scoperto la propaganda, l’immagine, e si intreccia con citazioni da bacetti di cioccolata o le peggio banalità. O quello che prende soldi, incassa favori, privilegi e pretende di far credere che tutto sia avvenuto a sua insaputa.

Ci manca Albertone, perché gli italiani li aveva dentro, con i difetti, i tic, le smancerie, le balordaggini. Ma anche con la loro generosità. Perché solo gli italiani riescono poi a riscattarsi.

«Sono un vigliacco, non so nulla», urla agli austriaci Sordi soldato nella Grande guerra di Monicelli, prima di finire davanti al plotone di esecuzione. Imboscato e lavativo, non rivela i piani ai nemici e salva migliaia di commilitoni. Un’esistenza da meschino ribaltata alla fine. Per caso. Solo un italiano è capace di immolarsi da eroe con il coraggio di gridare la propria vigliaccheria. Perché la morte è una, una sola. E non ammette finzioni, non si lascia imbrogliare come la vita.


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