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Un’utente di Twitter posta la foto della frase tormentone di Angela Chianello “Non ce n’è Coviddi”, scritta sulla sabbia

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Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che i social vogliono che sia bello. Vale anche per ciò che è intelligente, di moda, attraente. Ultimamente gli input che stimolano il gusto universale risuonano su un solo pentagramma: quello delle piattaforme social.

In un momento storico come quello che stiamo vivendo, in cui la bellezza esteriore e il fisico perfetto sembrano rappresentare non solo l’unico esempio valido da seguire, ma anche la sola via per poter essere socialmente accettati, Gucci sceglie una modella dai tratti non canonici: alcuni tradurrebbero la definizione con “brutta”. Armine Harutyunyan, 23enne armena, si è ritrovata così al centro di un vero e proprio tornado di bodyshaming. Il mondo dei presunti intenditori di moda si è diviso alla svelta tra i detrattori della modella (“orribile”, “dopo tante splendide ragazze, è questo quello che ci propongono?”, “con questi standard chiunque potrebbe fare la modella”) e i suoi sostenitori (“è una bellezza non convenzionale, con tratti tipici del suo Paese d’origine”).

Se volessimo essere pignoli e fingere di lavorare come talent scout per le case di moda, diremmo che, sì, Armine non ha i lineamenti di Claudia Schiffer né di Irina Shayk. Ma se invece provassimo a essere realisti e a guardare dall’esterno il mondo in cui siamo calati, capiremmo che non è la moda ad aver fatto le modelle, ma il contrario. Siamo stati abituati a canoni di bellezza da Monte Olimpo, angelici, inarrivabili e privi di ogni metro di paragone; ci hanno assuefatti a modelle che dovevano per forza essere fatte in un certo modo, con un certo colore di occhi e di capelli, il ventre piatto, quel chilometro di gamba irrinunciabile. Ma come sarebbe il mondo, oggi, se nessuno avesse mai posto limiti estetici a chi calca le passerelle? Probabilmente sarebbe un mondo in cui Armine non si sarebbe ritrovata sotto la pressa del bodyshaming perché la sua bellezza, così diversa da quella a cui la nostra cultura è abituata, sarebbe stata semplicemente una bellezza come tante. Non è Armine a essere brutta. È la plasticosa ed eterea dimensione costruita intorno al mondo delle modelle a renderla tale.

L’occhio critico degli specialisti della bellezza dell’ultim’ora non si è lasciato sfuggire neppure il red carpet di Giulia De Lellis all’ultimo Festival del Cinema di Venezia: l’influencer, infatti, aveva un’acne piuttosto vistosa su tutto il volto. Anche in questa occasione, appena poche ore dopo che il fuoco mediatico intorno ad Armine era stato domato, c’è stato chi ha sostenuto con forza la scelta della De Lellis di non camuffare le imperfezioni con il trucco, inneggiando alla libertà di essere se stessi senza l’impalcatura del make-up, e chi lo ha trovato fuori luogo per un evento a tutto tondo come il Festival del Cinema.

Nel turbine confuso delle opinioni non richieste, entra a gamba tesa Angela Chianello, la signora “Non ce n’è Coviddi” che a inizio estate ha dato il via a quello che si è rivelato un vero e proprio tormentone, citato, imitato e perfino impresso su alcuni gadget, tra cui accendini e magliette. La signora, che ai microfoni di una tv locale negava per l’appunto l’esistenza del Covid-19 mentre trascorreva una giornata in spiaggia, ha aperto un profilo Instagram raccogliendo, in pochissime ore, circa 160mila seguaci.

Si definisce “meteora” quel genere di fama effimera, di (relativamente) breve durata ma di impatto piuttosto significativo. È proprio il caso della signora Angela, che da mesi calca le scene dei salotti tv e del web col suo “Non ce n’è Coviddi”, diventato la parola d’ordine dell’estate 2020. Un ritornello che, come le martellanti canzoni latinoamericane che ogni anno si affacciano con la bella stagione, si impara anche se non si vuole. Ma basta davvero così poco per diventare popolari? Prima che internet desse un valore non consono a personaggi ed eventi del tutto effimeri, per acquisire la tanto agognata fama era necessario riuscire a fare breccia nella società, a dare qualcosa al pubblico. Uno spunto di riflessione, un input, un’esperienza di vita positiva. Essere d’esempio significava incidere nel buono delle persone, innestare nel pubblico una spinta a fare di meglio, incitare alla crescita individuale e collettiva. La signora Angela si ritrova, chissà come, nei panni degli eroi dei libri, dei film e della società civile che, con un tempo molto più dilatato di quello che l’ha vista protagonista, si sono guadagnati un riconoscimento che a lei sono bastati pochi click per ottenere. Se da un lato ci si ostina a dare pareri non richiesti, improvvisandosi di volta in volta epidemiologi, sismologi, scienziati ed esperti di moda, dall’altro si consente che persone che rappresentano un mero involucro e prive di qualunque contenuto salgano alla ribalta.

“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”, scriveva Bertold Brecht. Una terra con valori saldi ed esempi forti, difficilmente finisce con l’aver bisogno di punti di riferimento. In momenti come questo, non possiamo fare a meno di compatire questa terra a cui servono.


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