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Illustrazione di Roberto Melis

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Andare in giro non si può, se vuoi muoverti fuori dai confini dell’Emilia devi avere una dichiarazione che ti scagiona: non si possono varcare i confini del comune. Che dire: Dura lex sed lex.

Questa mattina però, mentre pascolavo il cane alle prime luci ho visto una coppia di scoiattoli che scorrazzavano sui tronchi di una Gledischia con le foglie giallo oro poi dei pettirossi osservarmi mentre osservavo gli scoiattoli nascondendo le nocciole e le noci che avevano raccolto: Cip e Ciop!

Fino a otto giorni fa mentre tornavo dalla mia solita corsa dovevo fermarmi perché un profumo più che inebriante mi incantava. Erano gli osmanti: una pianta che fiorisce due volte in un anno: in autunno e in primavera. Quel profumo si può distinguere da venti metri anche in piena notte ed è un incantesimo come il canto di un usignolo in una notte di agosto. È per questo che non mi sento in prigione. La mia terra l’ho comprata e poi piantata ma contiguo c’è ancora verde, più di due ettari, che un tempo erano il podere dei miei genitori: pere, mele, pesche, ciliegie.

Quando mio padre si rese conto che sia io che mio fratello volevamo andare all’università ci disse: “Se volete studiare io sono pronto a qualunque sacrificio ma ricordate; se avete un’ora libera è mia”. E questo significava che in autunno, io che ero più grande dovevo tenere l’aratro, svellerlo dalla terra alla fine del solco poi interrarlo di nuovo sempre a forza di spalle e così via. Alla fine stagione avevo rovesciato centinaia di tonnellate di terra per poi tornare ai libri. A volte notavo che l’aratro portava in superficie le esagonette di terracotta con cui gli antichi romani pavimentavano le loro case: avevano già inventato l’autobloccante. Ne conservo ancora una sul tavolo del mio studio. “Questi, papà erano agricoltori come te” dicevo “solo che lavoravano duemila anni fa questa terra”. I resti del mondo antico li riconoscevo nel nostro dialetto a mano a mano che imparavo il latino.

Con il passare degli anni i miei genitori cominciavano a ritirarsi dal lavoro e il frutteto diventava un parco con querce, carpini, olmi, biancospini rossi, frassini, magnolie di tutti i colori, acacie profumate. In tutto quel verde si annidavano uccelli di ogni tipo: merli, picchi verdi e rossi, ghiandaie, assioli, gufi, storni, usignoli dal canto armonioso, fringuelli, e cardellini… La natura si impadroniva di quel territorio e io vedo oggi d’inverno caprioli che scendono dal fiume a cercare l’erba sotto la neve mentre in alto, dove non possono arrivare, i germogli che diventeranno fiori. Il virus non riuscirà mai a far di me un prigioniero.


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