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Lo street artist TvBoy ha riprodotto “Il bacio” di Hayez con mascherina e gel disinfettante

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I‘ manc’ nu’ fidanzat’ virtuale tengo!”. Irrompe così, dall’altro capo del cellulare, durante una delle nostre solite conversazioni pomeridiane fatte per aggiornarci sul “niente claustrofobico” che la pandemia da Coronavirus, in questi mesi, ci ha regalato.

È l’esclamazione potente che esce dalla bocca arrabbiata ferocemente con il destino e, diciamola tutta, anche con l’oroscopo – visto che non si esime dal ricordarmi quanto Saturno con i suoi puntuali affitti mensili riesca ad occupare ogni mese le case astrali, “E certo che poi lo abbiamo sempre contro!” – della mia amica Giordana. Jinny da quando ne ho memoria il quarto giorno dell’asilo. Ci conosciamo da sempre e da allora non ci siamo più staccate, forse solo quando al ristorante andiamo in bagno e a differenza delle altre donne non ci accompagniamo mai. Il motivo è semplice. L’una aspetta l’altra al tavolo e se dopo un’ora non torna, forse è il caso di chiamare i pompieri. L’altro giorno, in preda ad un suo attacco di solitudine potente, dove neanche un gatto rosso, tutto pelo e poca agilità, sono convinta sia l’incarnazione di un bradipo sempre dormiente, riusciva a mitigare la sua mestizia mentale, mentre chiacchieravamo sul prossimo viaggio da fare quando tutta questa emergenza mondiale sarà finita – Lourdes rimane sempre sul podio tra la gita in pullman con colazione al sacco a Pietrelcina e l’aereo per Medjugorje – è uscito fuori un argomento spinoso, soprattutto in questo preciso momento storico: ma l’amore per noi single adesso dov’è? Ma soprattutto, cos’è? Come lo si fa a tenere vivo in un mondo che relega lo slancio affettivo ad una distanza fisica e ad una mascherina? Per carità, non si prendano queste mie parole come un ricorso alla disubbidienza delle linee guida diramate dall’ISS da quando il virus Sars-CoV2 ha fagocitato le vite di tutti noi, sono moniti utili per far sì che la pandemia sia monitorata.

La mia è una mera riflessione a fronte di quello che già ci è caduto tra capo e collo come una mazzata bella forte. E non parlo solo del virus, mi riferisco, nel suo specifico, a tutte le conseguenze che si sta trascinando, soprattutto quelle emotive. Possiamo fingere che eliminare il problema sia la soluzione e quindi convincerci che per ora tutto sommato si possa anche fare a meno di provare slanci sentimentali per qualcuno, possiamo vivere come un’isola. Ma noi esseri umani non siamo isole. Lo diceva anche Buddha che, seduto comodamente sulle sue tranquillità, abbracciava l’amore come arma interiore per una vita serena. Sperimentare lo slancio amoroso su un terreno dove la distanza fisica è quel monito a rimanere immuni, neanche avessimo l’App interiore a non socializzare, è la morte del desiderio stesso. Cos’è l’uomo senza il desiderio e quindi il desiderare? Un involucro vuoto fatto di automatismi, perdendo il senso del sé. Una destrutturazione contemporanea che ci rende privi delle nostre libertà, circoscritti in una serie di gesti ripetuti che dovrebbero proteggerci (?!) Si rischia anche una bella compulsione ossessiva se la mente lascia un vuoto da riempire. Come si fa ad uscire da una tuta di lanetta, ormai diventata seconda pelle e trovare lo stimolo per far sì che le giornate interminabili, trasformate in giorni fotocopia, prendano un’altra piega semmai stirata ed inamidata? Ci vorrebbe una postilla all’interno degli innumerevoli decreti diramati per far sì che la vita si svolga definitivamente dentro le mura di casa (si scherza ovviamente ma mica tanto), pensata unicamente per i cuori solitari, atta a dar loro delle agevolazioni.

Un bonus per chi non ha un compagno, una fidanzata, un marito, una moglie, che ne so anche un pupazzo di peluche al quale confidare il proprio amore. Si dovrebbe inserire un orario preciso dove, all’interno delle zone colorate, ci si possa incontrare. Tutte le persone senza un legame affettivo pronte a dirsi un “ciao” bisbigliato – la mascherina in dotazione non permette che le parole siano scandite benissimo – che apra un varco di speranza ad un chissà poi. Basta anche comunicare soltanto con gli occhi. Oddio, se dovessi uscire io, miope come sono, sicuro incappo in un anziano, reduce di guerra, medaglia al valor civile, pensione di invalidità – con i tempi che corrono è forse un buon partito – ed una bella legge 104 come accompagnamento: la dote se ci deve essere che sia completa! Ma ironia a parte – che non fa mai male in questi tempi così bui – riappropriarsi di se stessi e del contatto con l’altro sarà il vero ed arduo compito in una società già visualizzata nella virtualità e asettica nella condivisione. Prima del Covid-19 certo le cose non funzionavano meglio, ma almeno ci si poteva lamentare dopo una frequentazione fisica fatta di abbracci, baci, parole sussurrate e per porre una fine anche urlata, adesso è negata anche quella. I più temerari si affidano al sempreverde uso della tecnologia.

I social, oramai, sono diventati un luogo di incontro dove tante Claudia Cardinale con la foto di un Alberto Sordi stretta tra le mani a mo’ di santino, scendono dalle scale mobili di un aeroporto per andare incontro all’amore. Una specie di remake di “Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata” dei giorni nostri.

Attraverso uno schermo si cerca di riempire con il flusso comunicativo delle parole quegli spazi sottratti al contatto fisico e la digitalizzazione diventa un’àncora a cui appigliarsi stando attenti, però, a quel lungo andare che è l’incaglio sotto uno scoglio fatto di profonda solitudine. Quando il mezzo virtuale diventa l’unico palcoscenico dove poter recitare a braccio reciprocamente, si scrivono monologhi degni del vasto panorama letterario. Il tutto condito da un’insalata di like, cuori, commenti ed i più temerari anche invii di note vocali “per farti sentire la mia voce” come se quel suono potesse azzerare le distanze perché – chiacchiere e confidenze lo confermano – quando platonicamente qualcuno ti prende attraverso il mezzo della tecnologia, sicuramente abiterà a mille miglia di distanza dal nostro luogo digitativo.

Sarà che sono cresciuta ad una tavola dove se mangiano tre possono mangiare anche cinque, sposta la sedia, i gomiti stretti in un angolo per fare spazio. Il distanziamento fisico non saprei proprio da quale portata farlo iniziare e quindi, senza demonizzare il click, continuo ad ascoltare Jinny che si è iscritta a tutte le applicazioni utili all’incontro. Se poi dovesse rinnovare l’abbonamento ai romanzi Harmony allora sì che sarà la volta buona per proporle un tour in convento!


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