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“Ecce Homo” (1473); Piacenza Galleria del Collegio Alberoni

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Sette volte Antonello si è misurato con l’Ecce homo: nella tavoletta dipinta sui due lati al museo di Messina, e nelle tavole di New York, di Palazzo Spinola a Genova, del Metropolitan di New York, del Louvre, della collezione Ostrowsky e del Collegio Alberoni. La versione più perfetta è quest’ultima, esposta a Palazzo Galli a Piacenza , per non essere vista. Antonello è un pittore raro, e coltiva il mistero. Tale è anche l’apparizione improvvisa di un dipinto essenziale nella collezione di un cardinale a Piacenza che, a metà 700, porta il dipinto nella sua città. La storia esterna vuole che soltanto agli inizi del secolo scorso l’Ecce homo abbia stimolato la curiosità degli studiosi. Non sappiamo quindi nulla di come sia arrivato a Roma, dove lo acquistò il cardinale Alberoni in Palazzo Lana Buratti, né per chi l’abbia dipinto Antonello; ma possiamo immaginare che, come gli altri, sia stato pensato per devozione privata, per occasione di preghiera e, più ancora, di dialogo tra Cristo e il devoto. Ora tocca a noi.

In pochi dipinti la solennità, la gravità, l’autorità di Cristo, anche in pena, fra mille pene, è stata messa in discussione come in questa interpretazione di Antonello. Il Cristo che abbiamo di fronte è il Cristo del dubbio. Non è soltanto un uomo che soffre , umiliato, deriso, piegato. E non è compassione che suscita o che ci chiede. Il Cristo di Antonello, dopo le sfumature del dolore, come nella piccola tavoletta di collezione privata di New York, ci guarda per dirci qualcosa a cui non abbiamo, e non ha lui ,soprattutto, né risposta né rimedio.

La sua posizione è esattamente l’opposta di quella, con le medesime lacrime, del “Cristo alla Colonna” del Louvre, sempre di Antonello. Lì il Cristo non ci guarda: piange e alza gli occhi, pieni di speranza, al cielo; socchiude la bocca per chiedere aiuto, ma non manifesta incertezze. Sa che Dio l’ascolta. Nell’Ecce homo di Piacenza siamo probabilmente in un momento successivo.

Cristo non ha sentito risposta, non ha avuto rassicurazioni. Ha perso tutto. Ed è infinitamente solo. L’espressione degli occhi, di intenso blu, e la piega della bocca manifestano un solo sentimento: la delusione. Cristo dubita di Dio e dubita della sua natura divina. Guardandoci, rovescia la sua condizione. Non siamo noi a pregare lui, ma è lui, in un disperato bisogno di sostegno, a chiedere aiuto a noi. Antonello ci ha posto davanti al tema della meditazione sul Cristo come consapevolezza dei limiti dell’uomo, della impossibilità di uscire da una situazione difficile.

Mai Cristo è stato così vicino all’uomo, mai così simile a lui. La potenza di chi si è presentato come Dio si traduce in impotenza. In uno stato d’animo tra la rassegnazione e, appunto, la delusione. Il volto di Cristo è stato rappresentato da tanti pittori, in tante posizioni ed espressioni. Ma mai è stato così desolato e solo. Forse oggi possiamo capirlo meglio, nella condizione di inquietudine e di solitudine che ci rende incerti del presente e del futuro. Come l’ Ecce homo di Antonello, possiamo contare solo sul passato. Su ciò che è stato. Ma che oggi non c’è più. È questa la vera solitudine.


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