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(Illustrazione di Roberto Melis)

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I BAMBINI scompaiono. Scompaiono, perché evidentemente se ne fanno sempre di meno. Almeno in Occidente. Sicuramente in Italia.

Non c’è nessuno che oggi non sia al corrente del fatto che la piramide delle generazioni si è letteralmente capovolta: veniamo, infatti, da un tempo in cui ogni genitore aveva più figli e siamo già entrati in quello in cui ogni figlio ha più genitori; da un tempo, ancora, in cui ogni nonno/nonna aveva più nipoti in un tempo in cui ogni nipote ha più nonni/nonne.

Ma sono già anni che gli studiosi ci avvertono che i bambini scompaiono anche per un’altra ragione. Vengono infatti sempre di più considerati e trattati come se fossero degli “adulti di piccola taglia”. Si fa, insomma, sempre più fatica a riconoscere che i nostri bambini sono solo bambini e nient’altro. E che sono dunque bisognosi di un immenso percorso e processo di crescita in grado di renderli capaci di cogliere il senso e le leggi della realtà; insomma, che sono semplicemente bisognosi di vivere la stagione dell’infanzia, stagione per apprendere le parole che servono per darsi ragione del mondo che sta intorno a loro e di quello che sta dentro di loro.

Ed ecco che invece, dinanzi ai nostri occhi stupiti, decine e decine di genitori si rapportano ai loro figli come se fossero già cresciuti, quando invece hanno appena pochissimi anni di vita.

Li interrogano su tutto (da quel che desiderano mangiare al nome da dare al fratellino o alla sorellina in arrivo, dai vestiti da indossare all’eventuale piacere o meno di andare all’asilo e a scuola), non hanno più segreti per loro (si mostrano nudi in giro per casa e spesso parlano fin troppo apertamente di cose che il buon senso di tutti definirebbe come “cose da grandi”), non sanno esercitare più un minimo di autorevolezza e sciorinano alla malcapitata prole sillogismi degni dei migliori logici medievali, avanzano infine le poche richieste di aiuto casalingo o di impegno extrafamiliare con sdolcinati atteggiamenti da poveri innamorati (“fallo per la mamma”, “fallo per papà tuo”).

Il risultato di un tale pasticcio o meglio disastro educativo è che i bambini letteralmente impazziscono: non possono fare i bambini perché sono attesi da loro atteggiamenti da adulti, ma non possono fare gli adulti semplicemente perché sono bambini. Ed ecco così la loro vendetta servita sul piatto freddo di una capricciosità, di una irrequietezza e di una tirannia senza pari.

C’è da meravigliarsi poi se qualche giovane coppia decide che, di figli e di figlie, è meglio fare a meno?


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