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“La marchesa Luisa Casati con piume di pavone” 1911-13 di Giovanni Boldini

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POTREMMO definirla la mostra fantasma, quella che in questi giorni si viene pazientemente allestendo a Rovereto, al Mart, “Giovanni Boldini. Il Piacere”, a cura di Beatrice Avanzi e di Tiziano Panconi , negli ampi spazi del primo piano. Come se si potesse aprire in tempi normali, il 12 novembre prossimo, in quei “servizi essenziali” che una legge dello Stato considera i musei. Invece il museo di Rovereto resterà chiuso, come tutti i musei, per un assurdo decreto che consente invece l’apertura di tabaccherie e saloni di parrucchieri, certamente più’ “essenziali”. Dovremo aspettare il 4 Dicembre per uscire da questo incubo, cercando di non dimenticare che UNA NAZIONE È VIVA QUANDO LA SUA CULTURA È VIVA. E nessuno ha esaltato la vita come Boldini, in dipinti di impressionante virtuosismo capaci di tagliare la strada alle avanguardie, nei primi anni del Novecento, nella Parigi di Picasso, di Modigliani, di Chagall, stranieri come lui, pur raccontando la più sofisticata espressione del potere, quella della bellezza: la Belle èpoque.

Nelle sue opere, infatti, Boldini si fa travolgere a tal punto dalla joie de vivre da aver fatto esclamare al fotografo Cecil Beaton: «Boldini fu capace di trasmettere nello spettatore la gioia ispiratagli dalle assurdità che ritraeva: anche il più insopportabile dei suoi ritratti rivela un immenso divertimento!». Il grande critico della pittura del Rinascimento Bernard Berenson poteva scrivere dei ritratti di Boldini: “Esperto di quel mondo e di quella letteratura francese che lo ha illustrato, Boldini interpretava ottimamente la massima eleganza muliebre di un’epoca; ma quei ritratti hanno forte potere d’incanto: rilevano impulsive, sicure doti di pittore, e anche un certo pepe satirico”. In questa occasione si è voluto affiancare ai dipinti di Boldini una serie di opere di altri maestri, in diverso modo collegati a D’Annunzio.

L’opportunità è assai stimolante e anche insolita, muovendo da un inevitabile Francesco Paolo Michetti, amico D’Abruzzo, per arrivare al triestino Arturo Rietti che si applica con diverso impegno alla perlustrazione dell’interiorità di Gabriele e all’ammirazione della bellezza androgina di Gabriellino. Seguono “Gli amanti”(1901) di Luigi Onetti, intensa e dolente rappresentazione del clima in cui si chiude “Il trionfo della morte” (1894) : “e precipitarono nella morte avvinti”. Ecco le incipriate fanciulle di Corcos cui si è certamente ispirato Luchino Visconti per le scene de “L’innocente” : un Boldini castigato, più diligente, meno estroso, che si chiude nella misurata eleganza di Fernanda Ojetti. Più specificamente dannunziana la “Donna con cappello e cane” dello scultore Enrico Mazzolani ; mentre è difficile immaginare, senza la “Signora in rosa” di Boldini , la multicolore “Ragazza in costume” di Lino Selvatico. Sorprendono infine esercizi di un mondo lontano come quello di Cagnaccio di San Pietro che, nella dimensione teatrale e visionaria della gloria e della tragedia, si fa dannunziano.

Chiudono le diverse apparizioni della marchesa Casati nella impietosa ed espressionistica interpretazione di Amos Nattini, nel trionfo liberty di Renato Bertelli, nella trasfigurazione sublime, che va oltre la bellezza e gareggia con dinamismo futurista, dello stesso Boldini. D’Annunzio è d’altra parte l’equivalente letterario di Boldini nel mondo de “Il piacere” . Il capitano Lydig e signora sembrano avviarsi intrepidi nel bosco della pioggia del pineto, il Conte Robert de Montesquiou riceve Andrea Sperelli , e poi sfilano davanti a noi la contessa di Rasty, la duchessa di Marlbourug nata Consuelo Van der Bilt, Cleo de Merode , donna Concha de Ossa, la duchessa di Montellano , la Contessa Zichy: è la stessa teoria di immagini scelta nel suo libro di memorie “Boldini nel suo tempo” da Emilia Cardona.

È lei a illustrarcene la natura dannunziana: “Nessuno come Boldini, cosi nemico del non far niente, capiva la piacevole assurdità di quelle vite! In apparenza facili e leggere, erano piene delle spine delle ambizioni deluse, di orgogli offesi, di amori tragici, di folli dissesti finanziari. Egli vede, sente e scrive, scrive con la punta del più agile e sottile pennello che sia mai esistito, la cronaca di quel mondo, di quell’epoca che, per la prima volta nella storia, non si chiamerà col nome di un generale, di un re o di un annalista, ma con il nome di un pittore. L’Ottocento è boldiniano. Obbedendo a quello strano direttore d’orchestra della vita mondana che era Carlo Placci, gli “oziosi” erano quell’inverno riuniti a Saint- Moritz; la marchesa Casati, che vi aspetta invano Boldini, gli manda una relazione fedele della brillante vita mondana e, come documento, gli spedisce una fotografia in cui è ritratta nel costume orientale indossato per un ballo mascherato.

Il vecchio maestro, abbandonando i pennelli e il ritratto che sta facendo ad una sua nuova modella, Miss Lina – che l’interessa moltissimo -, scrive: Bellissimo il costume orientale, la sola critica è quella dei tacchi troppo alti, come se lei non fosse abbastanza grande! E poi, una orientale sui tacchi! Le orientali non hanno mai talloni”. Così, dopo il 1931, scende un’ombra di malinconia su quel mondo che sembrava danzare sulle note di una musica senza fine.


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