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Giuseppe Penone, l’Abete in piazza della Signoria a Firenze

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IL DIRETTORE degli Uffizi, Eike Schmidt, qualche giorno fa, ha messo le mani avanti: «L’arte contemporanea in questo luogo crea dibattito dai tempi del David di Michelangelo». Quel luogo è piazza della Signoria a Firenze, e l’oggetto del nuovo dibattito (anzi, quasi una rivolta popolare) s’intitola “Abete”. Un’installazione alta 22 metri realizzata dall’artista “povero” Giuseppe Penone (Garessio, 1947), in occasione del “Dantedì”.

Quella scultura è stata sistemata nel bel mezzo della prima città del Rinascimento per annunciare l’arrivo della mostra “Alberi Inversi” dedicata al Sommo Poeta. E i fiorentini non hanno perso tempo: sui social hanno attaccato il sindaco Dario Nardella e con lui chi ha commissionato l’opera, accusandolo di aver umiliato piazza della Signoria, Firenze e Dante in un colpo solo.

Ed ecco post come «Non sapevo che Spelacchio fosse in tour» o «Povero Dante, chissà come si rigira nella tomba».

Un principio di sollevazione popolare. Era ora. Penone è un artista che appartiene al gruppo dell’arte povera che piace ai radical chic e ha raggiunto un’autorevolezza che va ben al di là del suo merito ripetendo, come molti suoi colleghi, vedi Pistoletto o Anselmo, in modo autoreferenziale, lo stesso soggetto, nel suo caso l’albero spoglio.

Anche al Mart di Rovereto c’è un albero simile: insomma Penone ripropone sempre lo stesso archetipo, e ora è stato sbugiardato. Suo fratello Giovanni il legno lo scolpisce, dandogli forma. In questo caso Penone si è rivelato un Geppetto mal riuscito che ha creato un Pinocchio senza vita e senz’anima.

Mi spiace sia per Schmidt sia per il sindaco Nardella che è una vittima, ma stavolta hanno sbagliato. Penone fa solo alberi, ma in questo caso bisognava tenere conto del fatto che piazza della Signoria è un organismo chiuso e che l’irruzione dell’opera d’arte contemporanea doveva essere resa meno prepotente stabilendo un dialogo con il contesto e con Dante, alla cui figura ci si deve accostare con grande umiltà. Anche Fontana, che a suo modo ripeteva lo stesso soggetto, cioè il taglio della tela, si sarebbe adeguato alla commissione. E, malgrado sia morto, e ormai giudicato un classico nessuno si sognerebbe di metterlo nella sala di Giotto o accanto a Piero della Francesca, agli Uffizi.

È stato un errore veniale, ma pur sempre un errore, perché a ottobre finirà la mostra e la scultura per fortuna verrà tolta.

Ciò detto Nardella deve rispondere alla maggioranza di cittadini schietti che contestano l’arrivo di un albero di Natale rinsecchito fra Palazzo Vecchio e le logge del Vasari. D’altronde è come se avessero scelto di celebrare Sofia Loren esponendo una scopa, e dicendo che la rappresenta o la celebra. Il popolo toscano è particolarmente schietto, non perdona, e ora lo sbertuccia. Ed è il secondo errore di questo tipo che ha commesso Nardella. Perché ora ha sistemato in piazza della Signoria un albero che dice soltanto “Io sono Penone”, mentre nel 2017 accolse con convinzione il mega escremento firmato da Urs Fischer corredato delle statue in cera con i ritratti ,destinati a sciogliersi, di Fabrizio Moretti e del curatore della mostra Francesco Bonami .

Quanto a Eike Schmidt non gli è riuscita con il rinsecchito Penone una scelta pop come quella di invitare Chiara Ferragni agli Uffizi… Perché quella scelta era giusta e intelligente, e “dedicata” a Botticelli. Fu un’idea spiritosa ed efficace , come spesso ha Schmidt. Stavolta evidentemente si è fatto intortare dal sistema dell’arte contemporanea. Poi probabilmente avrà fatto questa scelta con lo spirito del mercante-imprenditore, usando l’opera di Penone come grande avviso pubblicitario per la mostra. Ma dubito che, vedendo quest’opera ,a qualcuno venga voglia di entrare e vederne altre.

Non c’è connessione fra quest’opera e Dante, anche se l’artista dice di aver fatto riferimento a un canto nel Paradiso. E ha pure sbagliato Canto ,perché gli alberi rinsecchiti li ritroviamo nel XIII canto dell’Inferno dove Pier della Vigna è fra i suicidi e ha l’anima imprigionata negli alberi di una selva. Altri artisti avrebbero meglio illustrato Dante, dal divertente e luminoso Marco Lodola (che ha fatto il monumento di luce a Umberto Eco ad Alessandria), a Livio Scarpella (che sta facendo quello a Paganini a Genova), a Ivan Theimer (con i suoi pertinenti e solenni Obelischi), fino a Giuseppe Bergomi, senza il carico di presunzione di Penone e cercando un dialogo con Dante.


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