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Villa Airoldi a Palermo

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Una vera sorpresa, nella notte di Mark Art, presentando a Palermo il libro sulla sua vita di Carmelo Sardo (“L’arte della salvezza” storia favolosa di Mark Art”, editore Zolfo) è stata, tra la formidabile accoglienza dei palermitani, la visione di Villa Airoldi con il salotto filosofico frequentato dagli amici di Alfonso Airoldi, ecclesiastico e giudice del Tribunale Regio e segretario del Sant’Uffizio.

Giuseppe Pitrè ci dice che Airoldi era considerato grande studioso e uomo lungimirante tanto che “nell’impartire le istruzioni ai superiori dei conventi per le scuole da aprirsi, facevasi eco di quelle anime raccomandando fosse la disciplina scolastica mantenuta meglio per via della ragione, dell’amore e della vergogna che per quella dei castighi e delle sferzate, con che si suole l’animo abbassare e fare un abito vilissimo di durezza e di servitù”.

Per fraterne (e forse massoniche) dissertazioni i suoi amici si riunivano nel grande salone sotto gli affreschi del virtuoso Giuseppe Cristodoro del 1781, con numerosi richiami alchemici all’Athanor e al Rebis, unione alchemica tra maschile e femminile.

Il richiamo al Rebis è evidenziato nei sontuosi affreschi, soprattutto nella coppia formata da un uomo nero (la Nigredo) e una donna bianca (l’Albedo). Per altre ragioni eravamo riuniti nella villa a celebrare la consacrazione di un singolare rappresentare dell’Art Brut, il giovane pittore di Favara Mark Art, che risponde perfettamente alla definizione di Jean Dubuffet, e che ha incontrato un vasto consenso, vedendo accolte le sue opere in Palazzo Mazzarino, dai marchesi Berlingieri e in Palazzo Imperatori, dai Conti Dona’ dalle Rose.

L’arte Brut, proprio come mostra, Mark Art Indica i “lavori effettuati da persone indenni di cultura artistica, nelle quali il mimetismo, contrariamente a ciò che avviene negli intellettuali, abbia poca o niente parte, in modo che i loro autori traggano tutto (argomenti, scelta dei materiali, messa in opera, mezzi di trasposizione, ritmo, modi di scritture, ecc.) dal loro profondo e non stereotipi dell’arte classica o dell’arte di moda.

L’Art Brut, secondo i suoi cultori, va distinta dall’arte popolare, dall’arte naïf, dai disegni dei bambini”. Ed ancora: “Quei lavori creati dalla solitudine e da impulsi creativi puri ed autentici – dove le preoccupazioni della concorrenza, l’acclamazione e la promozione sociale non interferiscono – sono, proprio a causa di questo, più preziosi delle produzioni dei professionisti”.

L’occasione celebrativa è stata propizia per incontrare Lucia Vincenti, autrice di un libro delizioso: “Palermo occultata. Guida minima a luoghi misteriosi ed esoterici della città”. editore Thipert, un libro utilissimo e di piacevole lettura che parte dal luogo da me più amato a Palermo, il Castello di Maredolce, eretto da Ruggiero II come residenza circondata da un lago artificiale, e poi trasformato in ospedale dei Cavalieri Teutonici, con il beneficio delle Acque termali, e infine abbandonato a selvaggia residenza di abusivi.

Da questo luogo perduto e perfetto la Vincenti ci guida al meraviglioso Monastero di Santa Chiara, recentemente rianimato con gli impareggiabili dolci delle suore da Padre Giuseppe Bucaro, secondo la descrizione dell’inarrivabile Pitré, raccontando la visita ai Monasteri della città della regina Carolina con la corte:

“I frati e le monache di nobili origini, forse per compensare la perdita della libertà, nei Monasteri facevano a gara per superarsi, anzi per sopraffarsi a proprio danno. Non avevano denaro e lo toglievano precipitosamente in prestito, senza speranza di poterlo prontamente restituire. […] in tutti i corridoi, nelle sale del Capitolo, in refettorio, nel quartiere della Superiora, gramolate di tutte le essenze, ponci di caffè e schiume di latte, dolci sopra dolci, torte grasse, arrosti di pollanche (talora chieste alla cucina del principe di Trabia) conserve ed altra roba da dessert; e poi doni di altri dolci, di argenteria, di oreficeria e fin di telerie: ecco ciò che presentarono queste monachelle che per la vanità di comparire più di quello che erano toglievano alla loro sussistenza il necessario ai piccoli comodi. Al tirare delle somme, per la follia di poche ore, ciascuno dei monasteri visitati s’indebitava. Al domani di tanta ebbrezza, le recriminazioni delle singole religiose contro le loro superiore e delle superiore contro le singole religiose esplodevano violentemente. […] le monache di Sett’Angeli e financo quelle di santa Chiara fecero cose da pazzi!”

Delizie palermitane in dialogo con il trionfo dell’Arca dell’alleanza di Gaspare Fumagalli.

La Vincenti è curiosa e deliziata delle cose che vede nella sua Palermo e delle cose che ci richiama, molte a me note, alcune da lei interpretate esotericamente, ma senza ansia di spiegare l’occulto. Rientrate con lei in Palazzo Comitini, entrate in Palazzo Reale, seguite le piste degli antichi passi dei maestri in Palazzo Mirto dove trovate la Voliera con apertura segreta. Infine, mentre insegue l’alchimia segreta di Piazza Bologna, entrate in Palazzo Alliata di Villafranca ma, insieme all’”Orfeo che incanta gli animali” di Pietro D’Azaro, non perdete i due capolavori (quasi più belli di Caravaggio) di Matteo Stomer. A quel punto Palermo vi sarà rivelata.


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