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Maddalena Strozzi Alta

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A FIRENZE Raffaello incontra Leonardo. Si erano conosciuti a Urbino, dunque Raffaello gli fa visita a Firenze, dove Leonardo, con la lentezza che gli era propria e che abbiamo raccontato in Leonardo. Il genio dell’imperfezione, stava lavorando alla Gioconda, un’opera straordinaria, che tuttavia lo ha impegnato per un tempo fuori misura, cinque anni.

Leonardo era un pigro, non amava lavorare, anzi. Dobbiamo immaginare Raffaello che entra nella stanza in cui Leonardo ritraeva la moglie di Giocondo, piena di musici e saltimbanchi e della sua corte di amici e allievi, che il Maestro utilizzava affinché la donna non si incupisse per le lunghe ore di posa e mantenesse il sorriso. Raffaello vede La Gioconda, e gli appare quello che La Gioconda è. La Gioconda non è un ritratto: è l’essenza assoluta della persona, è una persona che vive. È questa la sua grandezza. D’altra parte, se non fosse così, perché tutti la conoscono? Perché lei è entrata dentro di noi, lei è di tutti noi, perché è ognuno di noi.

Nessuno ha mai visto La Gioconda prima nell’originale e poi riprodotta. Ne vediamo la fotografia dal dentista, sulle scatole dei cioccolatini, a scuola, poi, verso i quindici, vent’anni, andiamo al Museo del Louvre, a Parigi, e cerchiamo di vederla dal vero. C’è davanti un gruppo di persone e non vediamo niente, ma la riconosciamo dalle foto che abbiamo visto. Al Louvre vediamo la riproduzione delle riproduzioni già conosciute. La Gioconda è un eterno femminino, non c’è niente di misterioso, perché lei vi guarda con quella espressione piena di consapevolezza della propria superiorità. Alle sue spalle ci sono tutti gli elementi della natura: l’aria, l’acqua, la terra, il fuoco e lei emerge da essi come la perfezione delle perfezioni.

Leonardo è riuscito nel miracolo di dare vita a una persona nel dipinto, che sta davanti a noi nella sua vita. Raffaello la guarda, e ne rimane scioccato. E allora, nello stesso periodo, tra il 1506 e il 1507, dipinge i suoi due primi straordinari ritratti, molto più compiuti di quelli un po’ rigidi di Elisabetta Gonzaga e Guidobaldo da Montefeltro, su cui permangono dubbi circa l’attribuzione: la Dama con liocorno della Galleria Borghese e La muta.

La Muta Alta

La Dama con liocorno, per lungo tempo è stata considerata santa Caterina, poi Roberto Longhi notò delle ripitture, commissionò una radiografia e apparve il liocorno. Quindi nelle fotografie degli anni venti è catalogato come il ritratto di una santa, mentre in realtà raffigura una donna. Nel quadro degli anni venti un’ampia veste copre le spalle della santa, il volto è leggermente ridipinto, come avesse un po’ di trucco, e c’è la ruota, emblema di santa Caterina.

Longhi si accorge che la ruota è stata inserita dopo, e anche la veste, fa smontare il quadro ed emerge la Dama con liocorno. La critica è stata capace di vedere quello che Raffaello era rispetto a quello che era diventato. Da notare la bella invenzione delle colonne che aprono verso il paesaggio, ma la composizione si genera, per un meccanismo di elaborazione dall’interno, dalla Gioconda, che ha questa stessa posizione, si muove lentamente, diventando una persona reale. La Gioconda è un’idea, è comunque viva, e Raffaello ne deriva un ritratto, come da un archetipo.

Analogo procedimento lo riscontriamo anche nel doppio ritratto dei signori che chiesero a Michelangelo il Tondo Doni. Sono i coniugi Doni, lui bellissimo, in una posa solenne, lei, dal viso un po’ bolso, però piena di verità. Siamo arrivati al capolavoro della prima maturità di Raffaello. Sono persone vere, e anche lei ha dentro di sé La Gioconda, che emerge lentamente. Lo schema è il medesimo, solo che Raffaello l’ha reso più parlante, più realistico. Ma in tutto e per tutto, a partire dalle mani, il ritratto viene da Leonardo, e, rispetto a Leonardo, è migliorato anche il paesaggio, è molto più fine, l’aria è più pura, limpida, rispetto a quella un po’ mefitica della Gioconda.

Del 1507 è un’ulteriore invenzione di Raffaello: La muta – che non potrebbe essere più silente – ha la stessa posizione delle mani della Gioconda, mentre il volto, la geometria, la misura restituiscono una persona forte, viva. E oggi questa è l’unica opera di Raffaello a Urbino, perché Mussolini nel 1927 la fece trasferire qui dagli Uffizi.


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