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Un particolare di "Viandante e nuvole", di Sergio Zanni

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A FERRARA, ai suoi giovanissimi ottant’anni, si festeggia lo scultore Sergio Zanni, poeta come pochi altri scultori, con le mani nella stessa argilla che mosse le creazioni di Nicolò dell’Arca, e che ci racconta il suo passato e il suo presente, in un sogno senza fine, portandoci con sé, con zia Iole, con zio Gabriele, in una infanzia non perduta. Li descrive in due racconti che accompagnano il catalogo dei suoi viandanti, in un mondo deserto e sconfinato.

Ritorna, con memoria nostalgica, al tempo della guerra: “Sfollare significava allora (e penso anche adesso) allontanarsi dai luoghi abitati delle città. Si cercava di andare a vivere in campagna cambiando abitazione e i più fortunati trovavano ospitalità dai parenti. Questo fu il caso della mia famiglia, andammo a Casumaro a una ventina di chilometri da Ferrara, dove era nata mia madre. Eravamo ospitati a casa di mia zia Jole. La casa era grande e abitata da cugini e dallo zio Checco. Ma la persona che mi rimase più impressa era la zia Jole. Era una contadina scolpita e colorata dal sole dei mesi più caldi quando lavorava nei campi. Mi fece molta impressione perché era molto diversa dalle signore che abitavano in città.

Tuttora la ricordo come una scultura delle nostre terre che rappresentava chi dai tempi più antichi lavorava nelle nostre campagne. La cara zia Jole che di notte addormentava me e mio fratello nel lettone che profumava di canapa. La zia in mezzo a noi due ci raccontava le storie di quando era una piccola contadina. Cara zia Jole, non dimenticherò mai come mi sentivo bene in quei momenti, tra il sonno e la veglia, mentre cavalcavo con la mente e il cuore le tue favole e le tue storie. Al tuo fianco la tua presenza mi rassicurava, mi dava pace, perché sentivo che eri buona nella tua semplice umanità. Forse, pur essendo molto piccolo, nel profondo avevo intuito che non ero nato nel migliore dei mondi possibili, e vicino alla zia mi sentivo al sicuro.”

Da quella lontana presenza viene l’amore di Zanni per la scultura. Ritrova il volto della amata zia nelle figure in terracotta colorata del “Compianto” di Guido Mazzoni, dette “i pianzun dla Rosa”, nella chiesa del Gesù, e li rievoca nelle sue forme animate e senza tempo, oggi vestite per un viaggio di cui non si conosce la destinazione.

Lo intende bene Gian Ruggero Manzoni presentando l’artista per la mostra nel Padiglione di Arte contemporanea, destinato a diventare “Spazio Antonioni”, a Ferrara. Ecco: il sentimento di solitudine e spaesamento è lo stesso, in Zanni e in Antonioni, entrambi ferraresi, uno distante, l’altro vicino, ma con lo stesso spazio nel cuore, incamminati nel “deserto rosso”. Per andare dove, in un deserto? “Sergio Zanni è un letterato, o, meglio, un narratore, scrive con la creta, il carboncino, la china, la tempera, gli acquarelli, il bronzo.

Zanni fa letteratura tramite le arti plastico-visive. Zanni racconta, e questo da sempre. Zanni parla poco, non si affida molto alla voce, al suono, alla parola per entrare in comunicazione con gli altri, infatti è individuo introverso, difficile vederlo anche ridere, se non in accezione ironica. Egli ha delegato le mani, le dita, i polpastrelli a relazionarsi, a dimostrare gioia o dolore, a indicare là dove finisce la terra e inizia il cielo”. È una intuizione. È vero che un uomo riparato, silenzioso, come Zanni, ha una euforia nelle dita, e con esse racconta favole e leggende che non mancheranno di incantare i bambini, volta a volta piloti, palombari, astronauti, Kamikaze, nel prolungamento della sua fantasia di viaggiatore che non si muove, ma arriva si confini del mondo che sono simili a quelli di Ferrara. Il mondo è nella sua mente, tra deserti e alluvioni verso il delta del Po, luogo senza luogo, tempo senza tempo. Zanni è andato ed è tornato, va e torna.

Così si vede oggi: «Le sculture di questi ultimi anni vogliono significare un tempo che è alla fine. Un tempo che ancora in parte viviamo, ma che sta, per lo più, alle nostre spalle. Sto parlando dell’Umanesimo, forse l’ultimo mito comunitario. Un cerchio la cui misura dava riposo alla figura umana. Il cerchio di Leonardo potrebbe esserne il simbolo. Oggi si parla tanto di “centralità dell’uomo”, di “mettere al centro l’uomo”, frasi ripetute in continuazione perché inconsapevolmente ci si rende conto che quella centralità è persa. Le verità incontrovertibili della tradizione umanistica quali: Dio, anima immortale, leggi della natura, leggi sociali, fede religiosa e fede politica, nate come difesa dall’imprevedibilità del divenire, nonché il buon senso comune, stanno tramontando. A tutto ciò sta subentrando, anzi è già subentrata, l’organizzazione tecnologica dell’esistenza che nella razionalizzazione scientifica trova il suo sviluppo, ma, per l’immane potenza che esprime, da mezzo tecnico è diventata scopo. Come sarà il domani non lo deciderà più Dio o l’uomo, ma saranno i prodotti della tecnologia che nel divenire determineranno i comporta- menti umani».

Zanni se ne sta lontano, preferisce starne fuori. In cammino nel sogno. Per lui nessun rifugio è più sicuro di Ferrara. E noi qui, in ogni stagione, lo ritroviamo, negli stessi luoghi dove era stato l’ultimo metafisico, Antenore Magri. Vedendo un suo quadro desolato, “La casa sulla strada”, ho scoperto che abitava in Via Granchio 2, allo stesso indirizzo di mio zio e di mia madre, nella casa dell’Ariosto, ora Case Cavallini Sgarbi.

Lì il tempo si è fermato, e si sentono i passi di Zanni, e dei suoi viandanti che, più lontano vanno, prima tornano qui. Al centro del mondo, dopo tanto viandare.


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