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Illustrazione di Roberto Melis

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Nei mesi dell’emergenza abbiamo riscoperto una verità elementare eppure oggi così ostica: si è liberi solo gli uni rispetto agli altri. Il contagio ci insegna proprio questo: col mio comportamento io posso infettare altre persone, così come altri possono fare lo stesso con me.

La libertà comporta dei diritti. Nessun “bene collettivo” può e deve prevaricare lo spazio della libertà personale. Al tempo stesso, però, la libertà comporta dei doveri. Questo aspetto – censurato da molti anni – forse oggi ci risulta più comprensibile.

Un dovere che non si riduce all’obbedienza a regole o procedure esterne. Ma che comporta la consapevolezza che le nostre decisioni hanno sempre conseguenze su chi ci sta intorno. Non esiste una libertà “a prescindere”. Non dunque, “la mia libertà comincia dove finisce la tua”, ma “la tua libertà dipende dalla mia, e viceversa”.

on è questione di immunità e non interferenza, bensì di reciprocità e legame. Immunità è negazione del munus (dono e insieme ufficio), sottrazione alle obbligazioni reciproche; è invece nel riconoscimento del legame che si esercita la libertà.

La cosa straordinaria di questo periodo è che le persone hanno scoperto di possedere già questo codice. Non l’hanno dovuto imparare. Lo hanno semplicemente riconosciuto e messo all’opera. Certo, c’è stato chi ha cercato di approfittare della situazione. Chi ha fatto il contrario. Ma la stragrande maggioranza dei cittadini ha compreso la gravità della situazione, adottando comportamenti di attenzione per sé e per gli altri. Facendo proprie da un giorno all’altro, e in modo tutto sommato consenziente, regole che stravolgevano la quotidianità.

Non si può fare tutto. Non si può fare tutto quello che si vorrebbe fare. O meglio, come afferma Paul Ricoeur proprio questo è il paradosso della libertà responsabile: “tutto posso, ma qui mi fermo”.

Quello che va maturato è che questa non è la condizione straordinaria di un particolare momento, quello epidemico. Piuttosto, è la struttura costitutiva della vita sociale, interconnessi in una “danza”di reciprocità che solo l’ideologia del tempo ci impedisce di vedere. Ma che ora lo squarcio causati dal coronavirus ci permette finalmente di riconoscere.


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