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Vincent Van Gogh, “Ritratto di Armand Roulin” (1888)

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Il giallo è diventato il colore dell’incertezza, dell’instabilità, della regola che cerca l’eccezione. Con molta probabilità, durante il periodo natalizio, tutte le regioni diventeranno zona gialla, con il divieto di spostamento tra comuni e con controlli più serrati.

Consolati dal panettone, cercheremo con dovizia la qualità più ideale per soddisfare il palato. Uno degli ingredienti che rendono il dolce di livello è il tuorlo d’uovo, le galline devono essere allevate a terra e garantite dalla filiera certificata, basterà tagliare il cuore del panettone per sondare il colore intenso della pasta.

Il giallo d’uovo è l’espressione che viene comunemente utilizzata per definire il tuorlo, ormai entrata con prepotenza nelle case degli italiani attraverso il richiamo smodato nelle decine di trasmissioni televisive culinarie.

Ad esempio in una sfida di Masterchef accadde che i partecipanti dovettero realizzare soprattutto con questo ingrediente la maionese perfetta. O ancora lo zafferano, la spezia che attraverso una tinta forte e accentratrice, prima veniva adoperata come colorante per tingere gli abiti delle nobildonne romane e degli sposi  ai tempi della Repubblica, la cerimonia prevedeva infatti che i coniugi si vestissero di giallo ed entrassero insieme in una stanza dai muri dipinti o tappezzati di giallo, simbolo di fecondità, ora invece influenza la colorazione del piatto.

Il giallo, oltre questa parentesi gastronomica, nella storia ha più volte rivestito un ruolo sì di estrema ricchezza, ma anche negativo, discriminatorio.

Durante il Paleolitico gli uomini furono i primi ad impiegare il pigmento: lo ricavarono dalle terre argillose piene di ocre e lo usarono per raffigurare gli animali sulle pareti delle grotte. Chauvet in Francia è una solida testimonianza.

Poi, con l’età dei metalli, sopraggiunse l’oro, che venne associato allo splendore del sole e fu offerto come tributo agli dei, esaltato nei templi e deposto nelle sepolture. 

L’aureus pronunciato dai romani per definire il giallo oro era da una parte un colore usato dalla Chiesa, nel Medioevo i Padri si ricoprirono di dipinti, mosaici, oreficerie e stoffe, dall’altra durante lo stesso arco venne affibbiato al giallo il significato del tradimento, l’apostolo Giuda veniva dipinto costantemente di giallo, infatti questa pigmentazione non entrò in alcun modo a far parte dei paramenti liturgici cristiani sempre rossi, bianchi, neri e verdi. L’iconografia dell’inganno toccò anche il teologo Jan Hus, giudicato eretico dal Concilio di Costanza, venne arso vivo in una veste gialla.

Il giallo, come macchia identificativa, toccò il fondo simbolico con la celebre stella di David, usata dai nazisti per discriminare i figli di Israele. Non a caso, del giallo Goethe scrisse: «Possiede una qualità dolcemente stimolante, di serenità e di gaiezza. Si mostra però estremamente sensibile, producendo un’immagine sgradevole quando è sporco… È sufficiente un leggero e impercettibile movimento per farne il colore dell’infamia, della ripulsa e del disagio».

Il giallo riferito all’aspetto del viso, solitamente quando qualcuno assume questo colore risulta pallido, emaciato, smorto. O in chiave razziale, l’espressione “muso giallo” sta a indicare nello slang metropolitano e nell’uso cinematografico la razza mongoloide.

Il giallo come disturbo fisico, la febbre gialla è una malattia tropicale provocata da una puntura di zanzara, o come simbolo di allerta, la bandiera veniva issata dalle navi in contumacia quando c’era il sospetto che ci fossero a bordo casi di  malattia infettiva. Il giallo come manifestazione di pericolo e di parte esclusa dal sistema viene utilizzato anche nel linguaggio politico.

Il Movimento cinque stelle ha selezionato il giallo nel proprio simbolo non solo perché fosse il solo colore disponibile, ma anche perché rappresentasse la rottura con la vecchia nomenclatura. Così come i gilet gialli, movimento politico francese di ribalta, che con questo colore avevano rappresentato un pericolo, un sovvertimento del potere.

Nell’ambito della visibilità invece il giallo è un colore utile, attraente, come nel caso dei taxi e delle cassette della posta, anche se qui il colore giallo ha origini diverse: deriva infatti dagli stemmi nobiliari dei Thurn und Taxis, la famiglia italo-tedesca che diede vita al servizio postale in Europa, curiosa la coincidenza (?) di un quadro di Van Gogh che ritrae su sfondo giallo ocra appunto “Il postino Joseph Roulin” (1888).

Nella pittura di fine Ottocento il giallo conquista un posto di rilievo non indifferente. Il pittore olandese poc’anzi citato, attraverso il calore e la luminosità del giallo, creò capolavori da far tremare i polsi. La giacca de il “Ritratto di Armand Roulin” (1888) assorbe gli occhi del visitatore con un giallo limoneggiante.

Gli effetti cangianti del colore e la limpidezza del campo di grano contribuiscono a dare un valore concreto al giallo grazie all’utilizzo di varie gradazioni cromatiche, come in “Mietitori” (1888). In poesia è immancabile l’omaggio a Eugenio Montale con una celebre lirica intitolata “I limoni” raccolta nella silloge “Ossi di seppia” (1925). Dietro la semplicità di questo frutto parte una luce, la stessa che partendo da un colore, ci farà accedere ad un’altra dimensione: «[…] Quando un giorno da un malchiuso portone / tra gli alberi di una corte / ci si mostrano i gialli dei limoni; / e il gelo del cuore si sfa, / e in petto ci scrosciano / le loro canzoni / le trombe d’oro della solarità».


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