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Illustrazione di Roberto Melis

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2 minuti per la lettura

Perch’i’ no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana,
dritt’a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.

Così inizia la celebre ballata di Guido Cavalcanti scritta a Sarzana poco prima di morire. Per decisione del priore (e caro amico) Dante Alighieri, il poeta era in esilio dalla sua città assieme agli altri capi della fazione bianca e nera. Riammesso a Firenze per le sue gravi condizioni di salute – aveva contratto la malaria -, spirava subito dopo, all’età di 42 anni.

Perché riandare a questa strofa per parlare di poesia? Perché, oltre le contingenze, vi si intravede la condizione del fare poesia.

Il poeta è sempre in esilio; tanto più nel mondo in cui ci è dato di vivere. Il suo riconoscimento in vita accade raramente e quando accade è pieno di insidie (e di equivoci). Il successo e la mondanità possono trasformarsi in zavorra e appesantire la capacità della scrittura di essere «leggera e piana» e di arrivare «dritta» al destinatario.

Il «molto onore» che il poeta insegue è ben altra cosa dalla cosiddetta “fama”. Esso consiste nello stabilirsi di una condivisione e di una comunanza: un reciproco riconoscersi grazie al dono in cui la poesia essenzialmente consiste. Il dono di chi ha avuto la ventura e la capacità di ascoltare la parola dentro di sé, di farla crescere e fiorire e, infine, di fissarla sulla carta (o su un supporto elettronico).

Nel suo andare per il mondo, la poesia è autonoma da chi l’ha scritta. Le si aprono possibilità che il suo stesso autore non può immaginare.

Ogni volta che trova ospitalità, risuonando nel corpo e nell’anima di un lettore, la poesia vede rinnovarsi il dono originario. In quel risuonare ha luogo una sorta di (ri)nascita che rende il lettore partecipe del poiein: gli offre la possibilità di esser egli stesso poeta.

Del resto cosa impedisce alla lingua di perdere forza e di decadere se non il rinnovarsi sorgivo della parola da un parlante all’altro? Ogni volta che questo si verifica, avviene un fatto creativo: un poiein diffuso che nutre la parola e le dà la forza di veicolare significati e produrre senso.

Certo: c’è poi chi sa fissare l’avventura della parola in espressioni compiute che vanno sotto il nome di poesia; ma la poesia dei poeti non potrebbe vivere senza il convivio, ideale e concreto, di chi la sa riconoscere.


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