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Raffaello Sanzio, “Resurrezione di Cristo” (1501-1502)

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La grande novità dell’annuncio cristiano è la resurrezione. In realtà, nell’antica Grecia, già Platone aveva parlato di immortalità dell’anima. Ma la promessa di Gesù di Nazareth va ben oltre: è una resurrezione del corpo, dei corpi. Il corpo, mortale, è chiamato a risorgere, ad essere immortale.

In una forma gloriosa, ovviamente, che trascende le dimensioni spaziali e temporali, uno stato metafisico che le nostre (limitate) facoltà mentali neanche riescono ad immaginare. Un corpo che è carne “glorificata”, libera dagli affanni e dai pesi del dolore, in cui le ferite sono trasformate in feritoie di luce e di speranza. Quanta strada abbiamo percorso dal Mercoledì delle Ceneri, con l’inizio del cammino quaresimale, ad oggi, domenica di Pasqua!

Siamo partiti ricordando la condizione di finitudine: cenere siamo e cenere ritorneremo, ci siamo detti nella liturgia. Abbiamo attraversato, prima, il deserto, la solitudine, l’isolamento e, poi, la delusione, il tradimento, la passione, fino ad arrivare alla morte in croce, di un uomo, Gesù, che si era definito “re” – anche se di un regno non di questo mondo – e che alcune delle persone a lui più vicine avevano riconosciuto come “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. La morte in croce è un fallimento non soltanto di un’esistenza individuale, ma, ancor di più, di un progetto collettivo. Sogni, prospettive, attese, tutto diventa fumo. O meglio, cenere.

Se quell’uomo fosse stato realmente il figlio di Dio avrebbe potuto chiamare degli angeli a liberarlo dal legno della morte. E, invece, quell’uomo, sopra la cui testa era stato scritto “re dei giudei”, a mo’ di beffa, inchiodato sulla croce, lamenta di essere stato abbandonato persino dal Padre.

È la fine. Siamo ai titoli di coda di una “piccola” rivoluzione sociale e religiosa che ha coinvolto una Palestina soggiogata all’impero romano. Un moto rivoluzionario, sedato grazie all’intervento delle locali autorità ebraiche che, per pochi denari, riescono a corrompere un “discepolo” di Gesù. E ora, nell’ultima ora, Gesù, tradito da uno dei “suoi”, e lì che esala l’ultimo respiro davanti a Maria, una madre trafitta dal dolore, in preda alla disperazione per la morte dell’unico figlio.

I “suoi” compagni, che soleva chiamare fratelli, ormai lo hanno abbandonato, per il timore di fare la stessa fine. C’è chi lo rinnega (e non uno qualunque, ma proprio Pietro, al quale era stata affidata una sorta di “leadership” del gruppo). Ma ecco che, quando tutto è (o, comunque, sembra) concluso, quando i cuori delle donne e degli uomini si arrendono ormai alla paura, alla rassegnazione e all’angoscia, quando cala la notte della sofferenza, giunge l’alba di un nuovo giorno, di un nuovo inizio. Ecco, la resurrezione. No che nulla era concluso, tutto era semmai “compiuto”, biblicamente parlando. La cenere è tornata ad essere corpo, per l’eternità!

La morte è un fatto storico, la resurrezione dei corpi è un evento meta-storico, che scardina le consueti leggi naturali, di cui tutti noi facciamo quotidianamente esperienza.

La resurrezione, quindi, non può essere compresa in un discorso strettamente razionale, ma soltanto accolta come dono. È per tutti. Anche se non da tutti accolta allo stesso modo. È il salto dalla storia alla fede, di una fede che i cristiani tramandano ormai da due millenni, di generazione in generazione.

Se è relativamente semplice capire la croce, è davvero complicato credere nella resurrezione. In effetti, la croce può essere verificata e sperimentata, pur nella paradossale logica dell’amore di un uomo che si sacrifica per l’umanità intera, mentre la resurrezione deve essere creduta, alla luce della fede, di un’esperienza soprannaturale.

Non ci può essere, in altre parole, una resurrezione “materiale”, in quanto va al di là della materia. E neanche può concepirsi una resurrezione “laica”. Ci troviamo dinnanzi ad un messaggio che è essenzialmente religioso. Anzi, siamo di fronte al mistero, all’unico messaggio di cui il cristianesimo si fa autenticamente promotore. Eppure, ciò non significa che il discorso sulla resurrezione debba essere per forza circoscritto in un ambito puramente confessionale.

Può darsi un significato “laico” dell’evento-resurrezione, un significato alla portata di tutti, credenti e non credenti. Innanzitutto, è resurrezione dei corpi, che esalta e valorizza, insomma, la dimensione della corporeità. Che è il centro delle relazioni, delle espressioni di emozioni e di sentimenti. Il fine della Chiesa è la salvezza delle anime, che diventa salute dei corpi. Non è la carne un accidente da demonizzare. È, al contrario, una possibilità di conoscenza, di esplorazione del mondo, di sensazioni positive, di emozioni, che è parte integrante del progetto di salvezza.

Ci salveremo con tutta la nostra carne!

La resurrezione è motivo di riscatto, personale e sociale. Non è semplice trovare la forza di schiodarsi dalle proprie difficoltà, di andare oltre al male inflitto, di vincere l’odio. E, invece, la resurrezione ci riporta alla forza di soverchiare la “tomba” della propria esistenza, superando i rancori, le debolezze, le difficoltà che attanagliano la vita di tutti i giorni.

Un discorso, questo, diametralmente opposto alle tentazioni della depressione, della stanchezza, della fatica, del lassismo. È più facile rimanere inchiodati sulle nostre croci, piangersela un po’ addosso, morire con il proprio dolore. Mentre, risorgere è questione difficile. Ma necessaria. Lo sanno bene le donne. Parlo di loro perché è alle donne che – come raccontano i Vangeli – è affidato l’annuncio della resurrezione.

Sì, le donne che, all’epoca, non potevano neanche testimoniare ai processi e che oggi, nelle liturgie cattoliche o ortodosse, non possono ancora proclamare la parola di Dio e spezzare il pane eucaristico e che, nelle società civili, rimangono vittime di violenza e di emarginazione, sono le depositarie di un messaggio che sconvolge il corso ordinario degli eventi: Gesù è risorto, è davvero risorto!

Gli uomini, i discepoli, sono chiusi nel cenacolo, impauriti, mentre le donne, nella tenerezza e nella premura dei piccoli gesti, trovano il sepolcro vuoto, ascoltano la voce del cuore (dell’angelo, ci dicono le Scritture) e comprendono che non può essere cercato tra i morti Colui che è vivo. Corrono subìto ad annunciarlo agli uomini. Inizia da qui, il cristianesimo. Da un passaparola avviato dalle donne. Senza le donne oggi non sapremmo nulla della resurrezione. Ed è dalle donne che il mondo, con le nostre chiese, può finalmente risorgere.


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