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L’arrivo dei Magi

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C’è la Befana e c’è la festa dell’Epifania. Le due cose coincidono nella data, che è quella tradizionale del 6 Gennaio. Ma ci sono alcune differenze. O, meglio, il discorso è un po’ più complesso.

L’origine dell’Epifania è antichissima: pare risalga addirittura al II secolo d.C. e serviva per ricordare il battesimo di Gesù. Era celebrata, sembra, dalla setta degli gnostici seguaci di Basilide, maestro religioso di origine greca e probabilmente fra i primi commentatori dei Vangeli. Questi credevano che l’incarnazione di Cristo fosse avvenuta al suo battesimo e non alla sua nascita.

In seguito, eliminati gli elementi gnostici, la Festa dell’Epifania fu adottata dalla Chiesa Cristiana Orientale. Solo verso il IV secolo l’Epifania  si diffuse in anche in Occidente, e fu quindi adottata anche dalla Chiesa di Roma nel V secolo. Da allora, l’Epifania è la festa cristiana  che celebra la rivelazione di Dio agli uomini nel suo Figlio, il Cristo ai Magi: il termine di origine greca “epiphàneia” significa  appunto “apparizione” o “rivelazione”.

a Befana, invece, pare abbia un’età molto più avanzata:  è vecchia di secoli e la sua origine, folkloristica e pagana, precede di molto la stessa affermazione del cristianesimo. Dipende quasi certamente anche da questo la curiosa mescolanza di elementi che ancora oggi la caratterizzano, pur se del tutto assimilata all’interno delle festività religiose. Non è facile neanche per gli studiosi risalire al momento esatto in cui è nata la tradizione folkloristica della Befana: qualcuno ipotizza di potersi spingere fino al X secolo a.C., ma la tesi è dibattuta e non paiono esserci fonti sufficienti per dirimere definitivamente la questione.

I ricercatori invece concordano nell’identificare il VI secolo a.C. come quello in cui la figura della Befana è  entrata stabilmente nei riti propiziatori pagani. All’epoca si trattava quasi certamente di un rito propiziatorio personificato dell’avvicendamento delle stagioni (e più in generale del ciclo di mutamento della stessa natura): in questa prospettiva, le feste in suo onore sarebbero quindi legate alla speranza che alla stagione fredda, l’inverno, potesse far seguito un raccolto abbondante.

Anche la stessa iconografia che la rappresenta come  una vecchia dalle vesti logore, andrebbe letta nella direzione appunto di un rito di passaggio fra differenti cicli naturali. In seguito, nell’antica Roma i riti pagani preesistenti furono inglobati a quelli dell’epoca, in una sorta di integrazione nel proprio pantheon politeista; spesso la Befana veniva anche identificata con  la dea Diana, e forse è nata in quel momento l’idea che volasse, con la scopa sui campi coltivati, in una sorta di atto benaugurante.

Oltre al 25 dicembre, quindi, data scelta come giorno di Natale pare dalla festa pagana del Sol Invictus, quando il sole vince sul giorno più lungo dell’anno, il solstizio d’inverno, era tradizione festeggiare 12 giorni dopo la dea Diana, dea dell’abbondanza e della cacciagione.  Dodici giorni dopo il solstizio d’inverno si celebrava la morte e la rinascita – l’Epifania, appunto – di Madre Natura.

Festeggiare l’Epifania, insomma, rientra a pieno titolo in quelle che i sociologi chiamano azioni macro-rituali, che hanno la precisa funzione di favorire la coesione interna e la continuità delle forme sociali collettive.
Émile Durkheim e Randall Collins si sono occupati a lungo dello studio dei rituali religiosi, arrivando a definire il rituale come una sorta di vera e propria batteria, in grado di produrre energia sociale. Secondo questa interpretazione, attraverso determinati rituali si verifica il passaggio tra l’essere in forma individuale e l’essere in forma collettiva e, appunto, colui il quale aderisce al rito diventa polo di questa batteria.

Il rito permette insomma la creazione di un “noi”, attraverso la fusione delle identità sociali che vanno a formare un’identità collettiva. Tale fusione risulta più o meno durevole a seconda delle modalità e della frequenza con cui il rituale viene riprodotto e consolidato nel tempo.
I rituali avrebbero quindi un ruolo importante sui singoli – e sui gruppi – in quanto favoriscono l’operazione di uscita dalla routine quotidiana per essere elevati al contatto con qualcosa di sacro che essi stessi contribuiscono a creare.

Il tutto permette ai membri del gruppo di sentirsi parte di una comunità morale con la conseguente trasformazione dei sentimenti individuali in collettivi. Ogni rito ha degli effetti: ricarica la forza e l’energia dei partecipanti mentre questi venerano i simboli del gruppo ed esaltano il legame che li unisce. Non è quindi forse un caso che la festa dell’Epifania – la Befana, nella sua duplice veste – sia diventata così popolare, soprattutto fra i più piccoli: richiama infatti la tradizione religiosa di Santa Lucia, che dispensava doni ai bambini prima della Befana, come faceva San Nicola prima dell’avvento di Babbo Natale. E non è un caso neanche che in Italia fu il fascismo, a partire dal 1928, a rinvigorire la festività della Befana intesa come un momento di attenzione alle classi più povere.
L’idea e l’organizzazione furono di  Augusto Turati, che sollecitò commercianti, industriali e agricoltori a dare risorse per i bambini più poveri. La gestione dell’evento fu curata dalle organizzazioni femminili e giovanili fasciste ed ebbe un successo straordinario, tanto da entrare nel modo di dire: il detto “befana fascista” rimase per molti anni anche dopo la guerra e le aziende continuarono per molti anni, sino ai giorni d’oggi, a prevedere pacchi-dono per i figli dei rispettivi dipendenti. Sino ad oggi ma con una parziale interruzione.

Nel 1977 una apposita legge, emanata il 5 Marzo, abolì una serie di festività previste nel calendario fino ad allora: erano anni di austerity per la crisi petrolifera, anni di domeniche a piedi per gli italiani quando il governo del cattolicissimo Giulio Andreotti abolì con un colpo di spugna Epifania  (forse anche per un legame proprio con il fascismo), San Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini, Ss. Pietro e Paolo (ma non a Roma), mentre slittarono alla prima domenica di Giugno e alla prima di Novembre la celebrazione della Festa della Repubblica e quella dell’Unità. Austerity anche nel calendario, insomma. Ci furono cenni di rimostranze per tutte le cancellazioni, naturalmente; ma le critiche maggiori vennero proprio per l’abolizione della festa dell’Epifania, anche da parte della Santa Sede. L’allora Pontefice Paolo VI arrivò a dichiarare che “l’Epifania è più importante liturgicamente della Pasqua”, ed è rimasta famosa la battuta che il Premier avrebbe fatto al commesso Navarra: «Forse – chiosò Andreotti – aveva ragione Mussolini quando disse che governare gli italiani non è difficile: è inutile». 

Mugugni e proteste ufficiali andarono avanti per qualche anno; toccò quindi a Bettino Craxi, che nel frattempo era succeduto ad Andreotti nella carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, fare un passo indietro.
Nel 1985, il  governo Craxi  ripristinò la Befana, in  attuazione dell’intesa con la Santa Sede per i nuovi Patti Lateranensi. Un’assenza di sette anni come festività ufficiale sui calendari, insomma. Poi, appunto, il ritorno al colore rosso della festività, per il piacere dei più piccoli; e forse anche per un rituale, uno dei tanti, che serve a ciascuno di noi a figurarci e viverci come una comunità.


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