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Pamela Mastropietro

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Pamela Mastropietro, una sorte spietata. L’omicidio della diciottenne nella casa degli orrori di Macerata, culminato con la condanna all’ergastolo di Innocent Oseghale, confermata in corte d’appello, oltre ad aver suscitato la commozione – unita alla riprovazione – di tutto il Paese, pone inquietanti interrogativi.

Una ragazza fragile, in difficoltà, della cui debolezza hanno approfittato in molti. Dagli uomini comuni che ha incontrato sulla propria accidentata strada, che non hanno saputo che regalarle denaro al posto di aiuto e comprensione, fino ai violenti spacciatori che ne hanno decretato il supplizio e la morte. Pensiamo al 50enne di Mogliano che le aveva dato un passaggio, intercettandola dopo che si era allontanata dalla comunità di recupero di Corridonia. Oppure al tassista di origine argentina che l’avrebbe ospitata a casa la sera prima del delitto. Nessuno di questi ha pensato alle condizioni di Pamela, sopraffatti dal proprio egoismo di maschi predatori. Se fossero intervenuti per tempo forse la ragazza avrebbe potuto salvarsi dalla furia degli aguzzini nigeriani che su di lei hanno sperimentato quanto di più aberrante possibile: violenza sessuale, omicidio e vilipendio di cadavere. Più di questo non si può.

E qui arriviamo ai motivi di sconcerto: nel nostro Paese, per il delitto di abuso sessuale è prevista l’obbligatorietà della querela di parte. Ma Pamela, essendo stata trucidata e rinchiusa in due valigie, ovviamente non ha potuto denunciare i mostri. Perché esattamente il giorno dopo un mostro l’ha uccisa in un modo orribile. Così la Procura di Macerata ha chiesto l’archiviazione per questo crimine che ha preceduto l’orripilante delitto. Questa, in sintesi la storia di una ragazza dalla psiche debole, sopraffatta da qualcosa più grande di lei. Non si può tacere, notizie simili non possono passare sotto silenzio. La normativa deve essere adeguata.

Se i predatori sessuali di Pamela non sono responsabili per la legge, lo sono per la coscienza morale e la politica sembra sorda e cieca di fronte a tale aberrazione. È evidente come tali previsioni legislative mantengano ancora un’impronta patriarcale ma occorre subito intervenire per colmare il vuoto normativo. Un reato detestabile come l’abuso e la violenza sessuale è punito con pene non commisurate alla gravità dell’evento. Basti pensare allo choc che impedisce alla maggior parte delle donne di denunciare, alla destabilizzazione conseguente a una violenza, che spinge molte di loro in una condizione psicologica devastante. Così, si spiega l’impunità di molti reati, una violenza ulteriore per il genere femminile. E il caso di Pamela, nel novembre 2019 è finito al Parlamento europeo, grazie a un convegno promosso dal gruppo “Identità e Democrazia” in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Proprio in tale circostanza, in cui sono stati sviscerati tutti i retroscena di questo orrendo crimine, si è stabilito un legame tra l’assassinio, l’accanimento sul cadavere della povera diciottenne e la mafia nigeriana, presente ormai in vari paesi del mondo e in Italia, con i suoi delitti e i suoi riti. “Ciò che ha subito Pamela va oltre la violenza contro una donna: è una violenza contro l’umanità intera”, è la convinzione dell’avvocato Marco Valerio Verni, legale della famiglia Mastropietro e zio della ragazza. Per questo il parlamento europeo, così sensibile al rispetto dei diritti umani, dovrebbe battere un colpo, manifestare il proprio disappunto di fronte a tale lacuna legislativa. Basterebbe una direttiva, una raccomandazione, la “moral suasion” (persuasione morale autorevole, ndr) dei rappresentanti Ue perché i Paesi aderenti si adeguino.

A condanna comminata, non si può dimenticare la posizione dell’affollato pool di legali del nigeriano, che voleva “difendere l’indifendibile”, secondo quanto dichiarato da Luisa Regimenti, che non ha risparmiato sforzi per smontare tali tesi. Una linea difensiva che, come dichiarò la dottoressa in un’intervista al Secolo D’Italia, era basata “sul nulla, parlando di un quadro probatorio incerto, di destabilizzazione mediatica, di un rapporto intimo consensuale”, arrivando a fornire, nel corso delle udienze, “dati errati e fuorvianti”. Queste, le distorsioni cui si va incontro in un processo che implichi la violenza sessuale. Ne abbiamo avuto fulgidi esempi ma il sacrificio di Pamela non deve restare vano. Deve esserci uno sforzo collettivo da più parti. La politica non può più ignorare tale emergenza.


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