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Molière particolare del ritratto di Nicolas Mignard (1658)

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di SILVIA PERUGI
Il 10 febbraio del 1673 al Palais Royal di Parigi va in scena per la prima volta l’ultima commedia scritta e interpretata da Molière: Il malato immaginario. Immaginario sta per matto, dato che il malato in questione ha la tendenza morbosa a immaginare cose che non esistono.

Molière veste i panni di Argante, un uomo molto ricco che si crede perennemente malato e che vive circondato da medici e farmacisti imbroglioni e incompetenti, che si prendono continuamente gioco di lui.

Sua figlia Angelica ama Cleante, un bravo giovane che la ricambia, ma il malato immaginario vuole che sposi un altro, imbecille e ridicolo, che però è medico figlio di un medico, così da avere un dottore in famiglia sempre a sua disposizione.

Sua moglie Belinda è una donna gretta e meschina che disprezza il marito ed è unicamente interessata al suo patrimonio. Suo fratello Beraldo e la serva Tonietta tentano di ricondurre il matto alla ragione. Lo convincono a fingersi morto per mettere alla prova l’affetto di moglie e figlia.

Argante scopre finalmente l’ipocrisia della prima e la sincerità della seconda e al termine di una buffonesca cerimonia di investitura, viene proclamato medico egli stesso.

Il successo dell’ultima opera di Molière è enorme, ma alla quarta rappresentazione, il 17 febbraio, mentre sul palco veste i panni di Argante, il commediografo – e attore – ha un malore, reale e non immaginario.

Ormai da tempo soffre di tubercolosi. Il pubblico non si accorge di nulla, crede sia tutto scritto nel copione. Molière riesce a mascherare la sofferenza e a portare a termine lo spettacolo. Morirà poche ore dopo.

Sono passati quattrocento anni dalla sua nascita: il 15 gennaio del 1622 Molière, pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin, riceve il battesimo nella chiesa di Saint Eustache a Parigi. Una vita intera dedicata al teatro. A comporre commedie – una trentina in tutto – e a prestare il volto a personaggi intramontabili.

Nelle sue opere, geniali giochi farseschi si alternano ad acute riflessioni su una società grottesca. Che non è solo quella del suo tempo. L’uomo è colto nel ridicolo di manie, piccinerie, vizi, in cui ancora oggi è impossibile non riconoscersi. Che lo vogliamo oppure no, siamo sempre gli stessi. In alcuni casi dominati, o comunque in guerra perenne con le debolezze tipiche della nostra natura: ipocrisia, supponenza, gelosia, adulazione, avarizia, conformismo, vigliaccheria. La satira di Molière non colpisce il singolo, ma l’umanità, rimanendo intatta nei secoli.

Il 26 dicembre del 1662 al teatro del Palais Royal a Parigi va in scena per la prima volta La scuola delle mogli: la commedia di Molière è aspramente criticata dai suoi detrattori. Il commediografo francese ha già raggiunto un discreto successo e gode delle simpatie del Re Sole, Luigi XIV. Il pubblico in sala assiste a uno spettacolo spiazzante: Arnolfo è un uomo non più giovane, che viene tradito dalla moglie.

Decide di adottare un’orfana, la piccola Agnese, e di crescerla senza alcun contatto con il mondo. È convinto che così riuscirà ad avere una compagna fedele e dunque una nuova moglie perfetta: docile, ignorante e ingenua. Neppure in grado di comprendere cosa sia il tradimento. Come se una donna educata, istruita, mondana, sia per ciò solo inevitabilmente corrotta.

Il suo amico Crisaldo prova a farlo ragionare, ma Arnolfo difende la sua teoria. Nel frattempo Orazio, figlio del suo amico Oronte, arriva in città e si innamora della delicata Agnese. Arnolfo, pur scalpitante, è costretto a subire tutte le confidenze del giovane, che non sa di trovarsi di fronte proprio al geloso carceriere della sua amata. A nulla valgono gli sforzi di Arnolfo per impedire ogni incontro tra i due ragazzi: all’ingenua Agnese basta incontrare per un attimo lo sguardo del giovane Orazio per sentir palpitare il cuore per la prima volta.

Facendo ridere lo spettatore, Molière vuole suscitargli una riflessione più profonda: vuole fargli conoscere l’uomo. Non ci sono eroi, né cattivi. Il teatro tradizionale è giunto al tramonto. Nasce il nuovo teatro realistico, che conserva immutato il lieto fine, seppur forzato e inverosimile nel contesto, e attinge solo dalla vita reale e da una verità psicologica composita per ciò che riguarda i personaggi. La critica è praticamente unanime: la commedia è altamente immorale e sembra il risultato del lavoro di un altro drammaturgo. Anche il sostegno del re vacilla. La carriera di Molière sembra arrivata al capolinea. Gli vengono in soccorso il suo grande spessore culturale e il suo grande senso dell’umorismo. Il commediografo risponde alle provocazioni con un’altra commedia: La critica alla scuola delle mogli, mettendo in scena gli assurdi argomenti della gente sull’originale.

Altre opere di Molière suscitano le stesse reazioni: indignazione, sconcerto. Malgrado tutte le difficoltà, il successo è straordinario. Nel 1665 il re ufficializza la protezione nei confronti della sua compagnia teatrale, nominandola compagnia reale. La satira di Molière colpisce nei loro difetti soprattutto i notabili, coprendoli di ridicolo: medici ciarlatani, ipocriti, pedanti, mariti gelosi, falsi intellettuali, falsi devoti, nobili corrotti. Grazie all’esagerazione, diventano tipi dai caratteri definiti, o meglio archetipi, con un loro linguaggio specifico che contribuisce all’esplosione della comicità. Molière realizza una sintesi di tutti i generi del teatro comico: la farsa, la commedia dell’arte e la commedia psicologica.

Il 15 febbraio del 1665 al Palais Royal di Parigi va in scena la prima del Don Giovanni o Il convitato di pietra. La commedia è la più moderna e la più rappresentata di Molière, quella in cui la mescolanza di toni e generi è più evidente. Don Giovanni, aristocratico, giovane, bello, ma anche bugiardo, arrogante e inguaribile seduttore, è uno dei più inquietanti personaggi della letteratura. Molière racconta la storia di un uomo che sfida Dio, trasgredendone le leggi. Che riesce, con l’inganno, a godere di donne che abbandona subito dopo. Sul palco si susseguono le seduzioni e le inevitabili fughe, finché una notte Don Giovanni uccide il padre di Donna Anna, una delle sue vittime. Da quel momento sono il protagonista e la statua parlante del morto ad animare la scena. La statua invita Don Giovanni a cena e questi accetta. La sera della cena, la statua nel salutarlo gli afferra la mano e lo trascina con sé all’inferno. L’opera provoca un nuovo scandalo: gli ambienti ecclesiastici la considerano un’apologia del libertinismo.

Molière è controcorrente. È un provocatore, un innovatore, un rivoluzionario. Che ha il coraggio di sconvolgere il teatro, che dopo di lui non sarà più lo stesso. Nasce il teatro moderno, che ancora influenza grandemente quello contemporaneo. C’è in Molière la sapienza che far ridere è una cosa molto seria. C’è in Molière la sapienza che per far ridere serve il realismo e che della realtà bisogna saper ridere. Dall’alto dell’infinito buonumore, saper guardare alle eterne mancanze degli uomini, e ridere.


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