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Illustrazione di Roberto Melis

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LA VITA dei bambini è costellata di tappe significative dove prevalgono le sensazioni dolorose e capaci di provocare momenti critici: si comincia dall’allontanamento dagli odori, calore, sapore, nutrimento dal capezzolo materno, per proseguire con i primi passi e le prime cadute, la “conquista” del lettino prima e della stanzetta poi, con la perdita della sicurezza affettiva del lettone. Così come oggi la pandemia causa la perdita di tante occasioni di gioco sotto casa, nella scuola, nei parchi, e sui marciapiedi.

Causa, soprattutto, la perdita del confronto – che a volte può essere anche problematico ma che resta un fatto positivo – anche doloroso con i coetanei.

Questa situazione è non piacevole anche perché fa germogliare in loro un senso di colpa determinato dal fatto di trovarsi isolati, insieme a tanti adulti mascherati, lontano da scuola, e a diretto contatto con la televisione dalla quale percepiscono solo messaggi di guerra e di morte: un peso dell’essere che alla loro età rischia di diventare insopportabile. Quasi una punizione per colpe non commesse.

Dobbiamo ricordare sempre che il bambino lasciato solo senza spiegazioni nella sua stanzetta al buio vede mostri e vive i distacchi come una ferita. In quest’anno di negazioni dobbiamo “risarcire” i suoi distacchi, cerchiamo da adulti di rasserenarlo e rassicurarlo. Non tanto spiegandogli ossessivamente cosa è il virus, con un nuovo “manuale delle giovani marmotte”, ma vivendo momenti di gioia condivisi.

Se bisogna lavare le mani, laviamole assieme, congiungendo le nostre con le sue come un gioco affettuoso.

Se vuole giocare per terra facciamoglielo fare: un po’ di sporco non deve fare paura, fa meno male di tante presunte infezioni, facciamolo scorrazzare, toccare sperimentare e soprattutto spegniamo il televisore e cantiamo, giochiamo e ridiamo con lui.

Un sorriso condiviso con lui rassicura più di tante spiegazioni.

Mi vengono in mente i versi centrali della bellissima poesia di Kahil Gibran, I vostri figli: “[…] Potete offrire dimora ai loro corpi, ma non alle loro anime. Perché le loro anime abitano la casa del domani, che voi non potete visitare, neppure nei vostri sogni. Potete sforzarvi di essere simili a loro, ma non cercare di renderli simili a voi. Perché la vita non torna indietro e non si ferma a ieri. Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce viventi, sono scoccati.”

Ecco, allora il nostro ruolo è soprattutto quello di dimenticare per un po’ la nostra ansia di adulti, per non correre il rischio di trasmetterla ai nostri piccoli.

Diceva mia nonna Francisca “migliora più l’umore di un bimbo, una goccia di miele che un barile di aceto”.


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