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Il monumento in onore delle vittime delle foibe a Basovizza

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L’ANTIFASCISTA Travaglio, grande ammiratore di Indro Montanelli, sul quale  ha recentemente scritto un volume illustrato e apologetico, ha scagliato le tristi truppe del suo giornale contro Arnaldo Mussolini. Chissà perché ha perdonato il fascistissimo Montanelli e ha invece condannato Arnaldo, direttore de “Il popolo d’Italia”, che e non aveva invitato a collaborare Montanelli.

Arnaldo morì nel 1931 affranto per la precoce morte del figlio, l’anno precedente. Con la perdita del figlio sembrò svanire – secondo quanto affermarono molti dei suoi amici – anche la voglia di vivere del padre. Alcuni suoi collaboratori raccontarono infatti che qualche giorno prima di morire, dopo aver avuto una piccola crisi cardiaca, Mussolini raccontò di aver sentito la morte vicina e di averla aspettata con gioia.

Montanelli invece, su “Civiltà fascista”, ancora nel 1936 scriveva: «Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra de fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà». Parole difficilmente emendabili, e mai pronunciate da Arnaldo, così descritto da un poligrafo insigne, Mauro della Porta Raffo: “Arnaldo chi?”.  

Scommetto qualsiasi cifra: nessuno degli ignorantissimi politici e dei giornalisti immediatamente in ginocchio aveva finora conoscenza dell’esistenza di Arnaldo Mussolini. Nessuno. Ovviamente, ne ho trattato anni orsono perché Montanelli ne parlò sostenendo che la morte di Arnaldo fu grave per le conseguenze. Era difatti la sola persona che Benito ascoltava e che ne frenava gli impeti.

E se qualcuno studiasse? La campagna per  la difesa della toponomastica storica,  che è un principio di civiltà rispetto alla ricerca di consenso strumentalizzando per ragioni politiche i nomi di Falcone e Borsellino, è assolutamente lecita, e non esclude una nuova titolazione, in altra area, una volta ripristinata quella originale. La sostituzione opportunistica di un nome più popolare a uno che i tempi hanno travolto, al di là delle sue dirette responsabilità, come è nel caso di Arnaldo, è proprio di molte amministrazioni di sinistra che hanno finto di ignorare che Borsellino era stato rappresentante del FUAN e vicino al MSI di Giorgio Almirante, e hanno cercato di farsi scudo della gloria dei due magistrati e del loro sacrificio.

La finta antimafia di Antonello Montante dovrebbe rappresentare un monito ancor più inquietante, dopo che una magistratura politicizzata e un sindaco depensante hanno umiliato Roma togliendole il nome  in favore di “Mafia capitale”, per attribuirsi patenti antimafia senza correre alcun pericolo e senza rischiare, protetti da potenti e inutili  scorte, la vita, come hanno rischiato (e perduto) Falcone e Borsellino. In realtà, per chi sa rispettare la storia, le variazioni toponomastiche sono ispirate alla retorica dei nuovi poteri, e buona norma sarebbe non usare nomi sacri come quelli di Falcone e Borsellino per cambiare denominazione a vie, piazze, aeroporti, lungomari, parchi, in modo opportunistico e strumentale.

Al culmine della polemica su questa vicenda, ingigantita, si pone l’enorme menzogna che infanga i morti delle Foibe uccisi dai comunisti e il presidente della  Repubblica Mattarella che li onora. È la posizione, espressa con la consueta violenza concettuale,  di  Tomaso Montanari, il quale, contestando il giusto riconoscimento da parte dello Stato dei morti delle foibe, lo attribuisce a una agguerrita campagna culturale da parte di una destra più o meno apertamente fascista: “Una campagna il cui obiettivo è niente meno che un revisionismo di Stato”.

L’assurda affermazione è sostenuta con argomenti che ignorano la tragica realtà di quelle morti, e finiscono con l’infangare per una seconda volta le vittime: “non si può nascondere che alcune battaglie revisioniste siano state vinte grazie  alla debolezza politica e culturale dei vertici della Repubblica. La legge del 2004 che istituisce la Giornata del ricordo (delle Foibe) a ridosso e in evidente opposizione a quella della Memoria (della Shoah) rappresenta il più clamoroso successo  di questa falsificazione storica”. La penosa mortificazione di un momento importante, nella giusta commemorazione storica, di una tragedia, si appoggia  a una inaccettabile ricostruzione dello storico Angelo D’Orsi, che ha pensato bene di scrivere al presidente Mattarella per rimproverargli “un grave torto alla conoscenza storica nel discorso del 10 febbraio 2020 in cui non si è limitato a rendere onore a quelli che, nella narrazione corrente, sono i “martiri delle foibe”, ma ha usato ancora un’espressione storicamente errata, politicamente pericolosa, moralmente inaccettabile: pulizia etnica”.

Sempre più sorprende che, negando la realtà, si arrivi a insultare il presidente della Repubblica, accusandolo di leggerezza o di supina accettazione di posizioni considerate “neofasciste”. Con aria leggera D’Orsi continua: “Ella , signor Presidente, è caduta nella trappola della equiparazione del grande, spaventoso crimine, il genocidio della Shoah, con avvenimenti al confine orientale tra Italia e Jugoslavia, tra il 1941 e il 1948, grosso modo…La storiografia ci dice tutt’altro: le vittime accertate fino ad oggi furono poco più di 800 (compresi i militari), parecchie delle quali giustiziate essendosi macchiate di crimini, autentici quanto taciuti, verso le popolazioni locali”.

La falsificazione reale di D’Orsi è spregevole. Solo un innocente ucciso dai comunisti titini ha la dignità che merita il ricordo di un ebreo ucciso dai nazisti. Non si misura l’orrore della storia sulla quantità dei morti. Fu già interrotto per questo uno spettacolo di Simone Cristicchi (certo non neofascista ), diffondendo un volantino, quella volta contro Napolitano, che indicava un bollettino dei morti di 798 vittime. La falsificazione è palese.

Del resto  liquidare il capitolo foibe con la mera contabilità dei corpi effettivamente ritrovati è semplicemente irragionevole (per uno storico, soprattutto). Primo, per le difficoltà oggettive del compito di riesumazione (del resto una delle ragioni dell’infoibamento è appunto l’occultamento dei corpi). Secondo, perché l’espressione “foibe” è chiaramente una sintesi in cui vengono convenzionalmente incluse anche le vittime (di campi di concentramento, di processi sommari e di altre violenze), che pure non finirono nelle cavità carsiche, esattamente come nella letteratura sulla sorte degli ebrei nella Seconda guerra mondiale.

Quanto alla “equiparazione del grande, spaventoso crimine, il genocidio della Shoah”, definire il ragionamento capzioso è dire poco. Come se, in generale, il massacro grande “mangiasse” il massacro piccolo, secondo una logica per cui Hiroshima potrebbe essere liquidata con una nota a pie’ pagina nei libri di storia. Se andiamo a tentare una contabilità che smentisca il revisionismo comunista di D’Orsi e Montanari potremmo considerare che il cippo sulla foiba di Basovizza, sulla lastra di pietra che chiude per sempre la voragine in cui furono precipitati i martiri di Trieste e della Venezia Giulia, ne riporta incisi i livelli. In origine la profondità risultava di 300 metri. Nel 1918 era di 228: la differenza era costituita da depositi di detriti, di carbone e di munizioni gettate là dentro dopo la guerra mondiale. Nel 1945, all’ultima misurazione, la foiba era profonda 135 metri: la differenza, stavolta, si doveva ai cadaveri degli italiani assassinati precipitandoli, spesso vivi, nell’abisso. Quanti? Forse 2.000, ma un conto esatto non si potrà mai fare. Fu detto, con brutale espressione, che a Basovizza c’erano 500 metri cubi di morti. Quattro per metro cubo.

Per amore di verità ho consultato gli archivi del Centro Studi Adriatici per il periodo 1943-45 . Secondo i calcoli di Luigi Papo, i numeri sono questi: 994 salme esumate da foibe, pozzi minerari, fosse comuni; 326 vittime accertate ma non recuperate; 5.643 vittime presunte sulla base delle segnalazioni locali o altre fonti; 3.174 vittime nei campi di concentramento e di lavoro jugoslavi, computate sulla base di segnalazioni o altre fonti. Quindi ben 10.137 persone mancanti in seguito a deportazioni, eccidi e infoibamenti per mano jugoslava. A questa cifra andrebbero poi aggiunte le vittime di ben trentasette fra foibe e cave di bauxite per le quali non è stato possibile alcun accertamento pur “essendo nella certezza che ivi furono compiuti altri massacri”.

In questo modo la cifra finale sarebbe di 16.500 vittime. Troppo pochi perché un presidente della Repubblica  li ricordi con sgomento e dolore parlando di “moto di odio e di furia sanguinaria”, la quale non è finita se è rivendicata da D’Orsi e Montanari che a quei morti non porterebbero neanche un fiore.


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