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Flavio Di Muro

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I più incavolati, ora, sono proprio quelli che hanno abboccato, guardando con occhi teneri e romantici l’onorevole che in diretta alla Camera chiede alla fidanzata di sposarlo. Con quell’anello che luccica tra gli scranni, è sembrata una favola moderna, da lacrimoni.

La dichiarazione d’amore invece non è autentica. Una sceneggiata, anzi, una tamarrata istituzionale senza precedenti. La proposta di nozze all’amata Elisa, fatta in salsa leghista dallo spasimante deputato, era stata già avanzata in privato, e l’ardente sposino aveva incassato il consenso, con meno fatica e ansia del governo Conte quando pone la fiducia. Tutto deciso e fatto, data delle nozze comprese.

Ma lui ha voluto strafare. Non appartiene, forse, a un partito che ha iniziato la scalata ai palazzi romani del potere con il sofisticato slogan “la Lega ce l’ha duro?”. Ne è venuta fuori una patetica pantomima, emblema di questa epoca di politica terra terra, roba da far diventare raffinato persino uno come Cetto Laqualunque.

Che brutti tempi, una cafonata dietro l’altra. Ma pare che funzioni. Il modello troglodita riscuote consensi, anche quando ci vanno di mezzo istituzioni di prestigio. L’onorevole è stato tradito dalla smania della visibilità, come se fosse una diretta Facebook o un’esibizione al karaoke. Nella semplicità, nell’ombra, dietro le quinte, gli Antonio Latrippa di oggi non ci sanno proprio stare. Non a caso, ci sono professionisti di selfie e felpe che hanno un tasso di presenze nelle riunioni di Camera e Senato inferiori a quelle di un musulmano in una sinagoga.

Conta apparire, esserci, esserci, esserci anche se poi tutto si risolve nella banalità o nel pessimo gusto. Da nullafacenti a nulladicenti. Il privato diventa pubblico. E il pubblico diventa privato, vedi anche alla voce utilizzo improprio (e sparizione) di soldi dei contribuenti.

L’onorevole sposino ha aperto una strada. Già ci aspettiamo discorsi dall’Aula del tipo: vorrei dire a mia moglie di ricordarsi di comprare il latte; oppure: fatemi chiedere a mio marito di gettare la spazzatura. In sessant’anni, in Parlamento non sono state sempre rose e fiori: abbiamo avuto risse, pugni, calci, insulti, foglietti strappati dalle mani degli oratori, lancio di cassettiere, occhiali rotti (capitò a Sgarbi), funi con il cappio. Pagine nere, con grande imbarazzo, soprattutto quando sulle tribune c’erano i ragazzi delle scuole. Ma questi episodi hanno creato meno sconcerto della proposta di nozze, ritenuta un momento solenne dell’intimità di una coppia.

Se poi si scopre che era solo una recita, non ci sono parole. Buffonate. La smania di protagonismo è arrivata a livelli tali che certi politicucci, nel fervore degli effetti speciali, non riescono più distinguere la differenza tra una seduta del Parlamento e un’ospitata dalla D’Urso o dalla De Filippi. Sono i nuovi mostri, quelli che avrebbero fatto la gioia di Risi, Scola o Monicelli. Cari Maestri, cosa vi state perdendo.


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