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Salvatore Quasimodo

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Una duplice ragione rende preziosa e indispensabile la nuova edizione, nella “monumentale” collana Oscar Baobab di Mondadori, di Tutte le poesie di Salvatore Quasimodo, introdotta da un empatico saggio del poeta Gilberto Finzi, scomparso nel 2014. La prima ragione concerne la figura del poeta siciliano (ma trapiantato a Milano dal ‘34), Premio Nobel del 1959.

Il nuovo volume permette infatti di riconoscere l’opera di Quasimodo in tutta la sua grandezza ed anche nell’ampiezza cronologica di una storia compositiva che va dagli anni ‘20 delle prime poesie giovanili fino al 1966 dell’ultima raccolta Dare e avere, due anni prima della morte del poeta a 67 anni.

La seconda ragione rende invece merito all’attentissimo lavoro di ricostruzione biografica, critica e soprattutto filologica, compiuto dal curatore Carlangelo Mauro, uno di quei benemeriti docenti dei nostri istituti d’istruzione superiore che non hanno dimenticato la competenza critica della propria formazione, congiungendo perciò nel loro lavoro letterario enciclopedia conoscitiva e vocazione didattica.

Proprio questo è il punto centrale del nuovo volume, che restituisce Quasimodo alla sua integrità di poeta, nella misura in cui il curatore ne accetta e qualifica il lavoro interno di ricostruzione dell’opera, ma si preoccupa anche di donare ex novo ai lettori d’oggi il senso di un sistema inventivo come pochi variegato e complesso. A partire dal secondo dopoguerra, è infatti costante nel futuro Nobel la ricerca progressiva di un pubblico della poesia più ampio e meno specializzato.

Così, nella seconda parte del volume, Mauro fa venire alla luce un Quasimodo assai più polifonico rispetto alla vulgata interpretativa, ricostruendo la mappa – che si può rappresentare come un gremito arcipelago – delle sue molte poesie disperse, d’occasione o di sperimentazione. Ne scaturisce la cristallina cognizione di una galassia compositiva entro la quale brillano di luce più limpida anche le poesie appartenenti al canone approvato dall’autore in persona. Da una simile operazione intelligentemente ricompositiva, scaturisce così la visione rigenerata delle diverse fasi della scrittura poetica dello scrittore originario di Modica.

Per esempio, il lessico espressivo esplicitamente ermetico del folgorante trittico pubblicato negli anni ’30 (Acque e terre, Òboe sommerso, Erato e Apòllion) svela la natura di un classicismo metaforico e a doppio fondo, che oggi può leggersi anche come un meccanismo di intrepida resistenza alla volgarità e ai vuoti trionfalismi della retorica pubblica espressa dal regime al potere. In questo modo, il trittico del Quasimodo trentenne o poco più si colloca al centro di un ermetismo tutt’altro che cifrato o intriso di surrealismo autoctono, a favore piuttosto di una vocazione tutta metafisica e archetipica, in dialogo diretto col gioiello ungarettiano di Sentimento del tempo (1933).

Alla ridefinizione della storia di Quasimodo poeta concorre anche la scelta di Carlangelo Mauro di inserire il libro capitale dei Lirici greci (uscito in prima battuta nel ’40) proprio al centro del corpus poetico, come fosse – e come in effetti è – un libro autonomo di Quasimodo stesso e non una semplice traduzione al servizio di frammentarie voci poetiche dell’antichità. Prima di questa edizione, era invece costume di considerare e pubblicare i Lirici greci come semplice appendice delle poesie scritte da Quasimodo in prima persona. Ma proprio grazie a questa scelta e grazie alla perfetta resa in lingua poetica novecentesca di autori e autrici capitali nel mostrarci che – fin dalle origini della tradizione occidentale – lirica non è sinonimo di astrazione né di idillio, è molto più facile comprendere l’adesione anticipata di Quasimodo a moduli e modi poetici legati al sentimento neorealistico dominante nel dopoguerra.

Le poetiche, per i grandi autori, non sono mai dichiarazioni a priori di appartenenza, né vincoli stilistici cui rimanere fedeli tutta una vita. E così, una scrittura di radice ermetica giunta ormai al culmine della sua maturità può felicemente aprirsi ai traumi, alle contraddizioni e alle asperità di una situazione storica che è osservata e cantata da una specola decisamente antifascista e civile.

Viene così il tempo, per Quasimodo, del fervore sociale e ricostruttivo di un libro come Giorno dopo giorno, del 1947, con quel suo attacco che è subito pronto ad essere accolto nelle antologie per le scuole di ogni ordine e grado: “E come potevamo noi cantare/ con il piede straniero sopra il cuore,/ fra i morti abbandonati nelle piazze/ sull’erba dura di ghiaccio…”.

È un grande libro di poesia integralmente italiana, scandita e incardinata nel cuore del ‘900 con le sue radici greche e latine bene in vista, questo Tutte le poesie di Salvatore Quasimodo: al quale è qui restituito in via definitiva il ruolo di poeta cardinale che da sempre gli compete.


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