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Conte, Mitsotakis, Merkel, Macron, Costa e Sanchez

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L’ITALIA perde qualcosa, l’Europa tutto. Di fronte al momento della verità, questa emerge in tutta la sua misura. L’Unione europea fatica ad essere all’altezza delle sfide né delle aspettative, e il suo meccanismo risulta inadeguato. Quattro giorni di negoziati senza fine producono un accordo che non era quello desiderato. La proposta di partenza di un meccanismo per la ripresa da 750 miliardi di euro, costituiti per due terzi (500 miliardi) da garanzie e un terzo (250 miliardi) da prestiti. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nella sera di ieri mette sul tavolo una versione che vede i 750 miliardi suddivisi in parti quasi uguali tra sovvenzioni (390 miliardi) e prestiti (360 miliardi). Nel nuovo strumento anti-recessione, temporaneo e attivo fino al 2023, concepito per far fronte alla crisi sanitaria del Covid, vengono azzerate le risorse per sanità e salute.

E’ la sconfitta dell’asse franco-tedesco, che fino all’ultimo si è battuto per una soluzione che desse maggiore peso a risorse libere da restituzioni. Al potere di Francia e Germania, attorno a cui si era coalizzato il grosso degli Stati membri e delle economie più grandi del club a dodici stelle, si contrappone lo stra-potere dei piccoli Paesi del Nord. Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia: sono loro che hanno puntato i piedi, chiedendo, e ottenendo, meno garanzie e più prestiti. Alla richiesta di non scendere sotto la soglia di 400 miliardi di euro di garanzie nella composizione del Recovery Fund, i cossiddetti ‘frugali’ hanno continuato per tutto il tempo a giocare al ribasso, forti dell’appoggio della Finlandia. Per i finlandesi il problema più delle risorse il nodo è il modo della loro ripartizione. La proposta sul tavolo prevedeva di distribuire denaro comune in base all’andamento del Pil e della disoccupazione degli ultimi cinque anni (60%), e in base al calo della crescita solo dell’ultimo anno (40%).

Per tutto il tempo la finlandese Sanna Marin ha contestato il legare un fondo anti-crisi Covid all’andamento economico pre-crisi Covid. Charles Michel mette su un tavolo che dal suo punto di vista può offrire la soluzione all’impasse. Restano fermi i 750 miliardi di euro per la ripresa, ma restano fermi i 1.074 miliardi di euro complessivi per il bilancio settennale dell’UE. Il presidente del Consiglio europeo non cede a tutte le richieste dell’Europa luterana e calvinista, che fa dell’azione individuale il suo credo a dispetto di chi cerca aiuti dall’alto. Agli austeri scandinavi e i rigoristi olandesi tengono ostaggio il Consiglio europeo, di concerto con l’Austria, non concede la riduzione del bilancio, ma li premia aumentando loro il rimborso sul contributo al bilancio stesso (rebate). Alla Danimarca 322 milioni (+125 milioni), ai Paesi Bassi 1,9 miliardi (+345 milioni), all’Austria 595 milioni (+328), alla Svezia 1,06 miliardi (+217 milioni).

Confermato anche il fondo speciale da cinque miliardi di euro per far fronte alle conseguenze impreviste della Brexit, concepito in particolare per i Paesi Bassi più direttamente interessati dall’addio britannico. La linea combattiva di Giuseppe Conte sembra aver sortito i suoi effetti. Il compromesso sul tavolo non è certamente il libro dei sogni che l’Italia si attendeva, ma ci sono due cose per cui il presidente del Consiglio può essere contento: il fatto che non ci siano stati tagli al fondo per la ripresa gli permette di allontanare la spauracchio del Meccanismo di stabilità (Mes). L’ultima proposta Michel darà meno sovvenzioni all’Italia, ma non ridurrà in maniera significativa i 172 miliardi di euro promessi nelle scorse settimane. Anzi, fonti italiane fanno sapere che forse in questo modo si potrà ottenere qualcosa in più. L’ipotesi più accreditata potrebbe essere di 82 miliardi di sussidi e 127 di prestiti. Più prestiti, certo, ma niente Mes.

Il secondo motivo per essere soddisfatti è che per le regioni più svantaggiate è previsto un tasso del co-finanziamento dell’85% per investimenti a favore dell’occupazione e della crescita. Vuol dire che il grosso delle risorse a sostegno delle regione del Sud le metterà l’Europa, gravando meno sul bilancio nazionale. Ma sui piani nazionali previsto un ‘freno di emergenza’, uno Stato membro può chiedere la discussione al Consiglio in caso di dubbi. Con la proposta negoziale in sostanza si contengono i danni di un’Europa bloccata per tre giorni sul crinale di tre possibilità: via libera a 400 miliardi di euro in sovvenzioni, secondo le linee rosse di Francia, Germania e il blocco Mediterraneo; accettare un importo inferiore a 400 miliardi di euro, dandola vinta ai ‘frugali’; nessun accordo.

La maggioranza dei Ventisette, nell’impossibilità di far passare la propria linea e nella consapevolezza che un mancato accordo non aiuta nessuno, è costretta a cedere ancora. Colpa di un sistema decisionale basata sul principio dell’unanimità che rende l’Europa ostaggio dei suoi capricci e prigioniera dei suoi egoismi. «Indipendentemente dal verdetto che uscirà dal Consiglio, risulta evidente a tutti che bisognerà mettere mano ai trattati europei e cambiare il meccanismo di voto che dovrà diventare a maggioranza qualificata», sottolinea Ignazio Corrao, europarlamentare del Movimento 5 Stelle eletto nella circoscrizione Isole, uno dei 705 attori dell’Eurocamera attenti ai negoziati. Il Parlamento ha potere di veto sul bilancio pluriennale dell’Ue.

Potrebbe, se volesse, mandare all’aria giornate intense di trattative. E’ una possibilità prevista dai trattati e fin qui mai verificatasi, ma il presidente dell’Eurocamera è stato chiaro: se l’accordo non dovesse piacere all’Aula, «il Parlamento non darà il proprio consenso».


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