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C’è tutto nel protocollo relativo all’intervento del Var durante una partita di calcio. Il Var è il Video Assistant Referee, l’uomo che guarda filmati destinati a divenire virali una volta dati in pasto alla rete ed a scatenare gli innamorati e gli odiatori d’ogni squadra e colore. Cioè quelli che “ce l’hanno tutti con la Juve perché vince ed è più forte”, e quelli che “vince perché è la Juve” e anche la tecnologia è vittima di “sudditanza psicologica”.

C’è tutto in quel protocollo: anche acronimi più o meno incomprensibili, giacché oltre al Var ci sono la Vor (Video Operation Room, il “var cabinet” al posto del “War Cabinet”), l’Avar (Assistant Var, cioè l’assistente dell’assistente) e il Ro (Replay Operator). C’è pure il Dogso, che non è, come potrebbe suggerire l’assonanza, un qualche tipo di cane (dog) ma il “deny an obvious goal scoring opportunity”, la vecchia “chiara occasione da gol” centimetro più centimetro meno, giacché il calcio è anche, come tante cose della vita, una “questione di centimetri”.

C’è tutto nel protocollo del Var, anche la faccenda di offrirci un “Cgm” per dirla con gli estensori del protocollo stesso: un “calcio geneticamente modificato”. In campo e sugli spalti. Nessuno sa più, e sempre meno lo saprà, se esultare o meno: si vive qualche secondo, e talvolta qualche minuto, di sospensione nell’attesa del verdetto Può succedere, ed “è capitato già”, che l’uomo del monte suggerisca all’arbitro ufficiale di andare a rivedere cosa è successo qualche minuto prima dall’altra parte del campo e dopo qualche altro minuto di visione si torni all’origine: il tuo gol da azione regolare non vale più e ti becchi pure un rigore contro: lo sa l’Inter che dal 2 a 0 s’è trovato, via Var, sull’1 a 1.

Meglio non esultare più in diretta; quella comunione d’amorosi sensi è un ricordo del passato. Rigore non è più “quando arbitro fischia”, come diceva il saggio Boskov. E gol non è più “quando pallone entra”. Si può riavvolgere il nastro e allora aspetta a urlare la tua gioia. E quando potresti forse ti è passata. L’unica consolazione è che a forza di andare a spasso nel tempo, finiranno per ammettere che “il gol di Turone era ‘bbono’”.

Ovviamente non è il Var né i suoi aggeggi che possono essere messi in discussione, in tempi di trojan e di app poi… Nessuno sogna di essere Ned Ludd, l’operaio che durante la rivoluzione industriale distrusse un telaio meccanico per fermare, con il “progresso” anche la disoccupazione e le perdite salariali. Il calcio senza Var ha l’aria di un calcio in bianco e nero, se non muto: andamento lento come tanti anni fa e mancanza di qualcosa, perché al colore ci siamo abituati subito.

È il protocollo che va sistemato quanto prima. Ha il difetto di una legislazione che vuole prevedere tutto fin nei minimi particolari teorici che non corrispondono, a volte e non solo, a quelli pratici. Le previsioni riescono ad essere, miracolo delle leggi italiane, particolareggiate e generiche nello stesso tempo. Quando, ad esempio, un errore è “chiaro ed evidente”? Come stabilire il confine della chiarezza e quello dell’evidenza? Mani in alto, mani in basso, superficie aumentata del corpo, azione di gioco o svirgolata? La tecnologia dà immagini più o meno reali, la fantascienza è neorealismo o viceversa nell’interpretazione che sempre soggettiva è. Però viva il Var: il calcio d’Europa va a due velocità, in Champions e in Europa League, quando il Var c’è o non c’è rispettivamente. Non è lo strumento che stona, semmai sono i suonatori e lo spartito.


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