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Giovanni Minoli

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Detto in termini modesti, se è ancora dubitabile che Dio creò il mondo, fu invece certo che fu Giovanni Minoli a creare la televisione italiana. Quella di “Mixer” (“Idea di mia moglie Matilde”, dice lui) fu una rivoluzione di idee e di tecnologia. Con un solo genio padrone, lui, ma con lui una meteora gassosa, una costellazione di autori, attori, giornalisti, musicisti, tecnici in quel brodo primordiale da cui poi tutto venne fuori, da Geo e Geo a Reporter, da “Quelli della Notte” a tutti i figli di Mixer. Io conosco Giovanni Minoli dai primi anni Ottanta e con lui ho anche lavorato e fatto programmi. Il suo laboratorio era un mondo separato e geloso. Lui è un uomo consapevole della sua genialità non meno di Oscar Wilde che quando gli chiesero che cosa avesse da dichiarare alla dogana, disse null’altro che il mio genio e Giovanni è così. Poi, proprio con il direttore di questo giornale, ha reinventato anche la Radio, ed è un’altra storia. Personalmente ho sperimentato la sua amicizia e anche la sua inaspettata e (per me, allora) gelosia di leader, inventore e re della sua terra televisiva. 

Minoli ha inventato la grande televisione che, per ora e lo dico con estrema tristezza, ha perso, anche se non è ancora detto: quella dell’invenzione, della crudezza e sfrontatezza ma subito anche del rispetto e della comprensione. Hanno dato in televisione una rievocazione di Mixer su RaiDue e peccato che era mezzanotte, anche se ormai siamo tutti svegli. Ma è stata una grande pagina di testimonianza perché la televisione di Mixer e di Minoli, che poi ha prodotto Arbore e la sua grande famiglia e tutta la tv nuova, buona, coraggiosa e anche commovente, è stata superata dalla televisione del conformismo trash, quella cosiddetta “sporca” che ha avuto il sopravvento. La più grande invenzione di Minoli è stata quella dei suoi “Faccia a faccia”. Non è stato l’unico al mondo, ma fra i migliori e forse il migliore anche di fronte al mercato americano.

Era un format a sorpresa e chi ci stava – e ci stettero quasi tutti i grandi della Terra – accettava di entrare nella trappola carnivora di Minoli: “Avvocato Agnelli lei è amato dalle donne”. Agnelli si paralizza: “Se fosse vero ne sarei orgoglioso”. Che cosa pensa delle donne? Agnelli per poco non sviene: nessuno aveva mai osato, ma è anche un tennista da smash e risponde che gli uomini si dividono in due, chi parla con le donne e chi parla di donne, io non parlo mai delle donne. Merguerite Yourcenar mentre gli risponde in un italiano inventato, intanto prende appunti di aramaico sulla coscia per un libro che sta scrivendo, il giovane Netanyahu si scontra a cornate con Minoli sostenendo che si può avere un solo popolo palestinese, la Giordania, ma non due. Il capo della Cia Turner s’incazza: lei sta sprecando il mio tempo e sii soldi del collegamento, i patti erano altri e lei mi sta parlando di Gladio. Ma io devo parlare di Gladio perché è l’argomento del giorno. Quello si alza e se ne va. Prende di petto Kissinger e gli dice che ha intimidito Aldo Moro alla festa nell’ambasciata italiana diffidandolo dal fare il compromesso storico e Kissinger dice chi? io? Ma se Moro neanche sapeva l’inglese. Sì, dice Minoli, ma io ho parlato col suo interprete di quel giorno. 

Un torrente. Craxi appare limpido e micidiale, pacato e diritto, ma viene ripreso nel giorno delle monetine all’hotel Raphael, Berlusconi è giovane e Minoli non riesce a piazzare la sua domanda, sicché si impone, ma commenta testimoniando che Berlusconi è un uomo buono e che ha pagato per questo. Acciuffa i due mostri sacri della letteratura latina americana: Garcia Marquez dei Cento anni di solitudine e poi il cieco Borges al quale fa confessare di aver chiesto il divorzio da una moglie che non sognava mai di notte: “Non era l’unico dei suoi difetti”, dice il vate cieco ma non troppo. Minoli era giovanissimo, eravamo tutti giovani in quell’epoca in cui da casa sua e con la sua partecipazione lanciavamo del teatro-satira: il fratello di Matilde, l’austero professor Roberto accettava di fingersi centralinista del Quirinale, Ezio Mauro con la sua folta agendina, io che faccio Pertini e svegliamo tutta la nomenklatura politica e usiamo come test Gianni Minà, inconsapevole che ci casca. Vecchie glorie. 

Ecco Bianca Berlinguer e la ragazza Silvia Tortora, belle e giovani, che facevano parte della famiglia che era anche la mia famiglia con Isabella Rossellini che parla romano americano e che confonde san Giorgio a Cremano con Cremona, deliziosa tentennante e giovane come quando cenavamo tutti insieme con Gianni Bisiach a casa di Elena Doni con Dacia Maraini. Che dire? È un tale museo, una tale galleria che si resta sbalorditi: voilà Minoli nella tenda di Gheddafi che gli chiede perché non vuole la Turchia in Europa e il dittatore dice che la Turchia è il cavallo di Troia del radicalismo islamico. Oggi Gheddafi è morto, assassinato e stuprato dai suoi carnefici, e le truppe di Erdogan sono in Libia insieme a un battaglione dei mercenari russi. Proseguiamo: Federico Zeri con babbucce e caffettano che si scaglia contro il falso Trono Ludovisi, che ferita acuta nella memoria e che nostalgia, e poi, più che altro, il grande smascheramento. Minoli ha voluto dimostrare con un suo falso molto verosimile e che probabilmente ci azzecca, che la televisione usando il vero manipolato e la tecnica, può creare il verosimile. Lui fece lo scoop (che rivelò poi fabbricato in casa) di come fosse falso che la Repubblica avesse vinto al referendum, visto che le schede furono prontamente bruciate e nessuno poté controllarle. E Minoli crea una finta riunione di cospiratori, tutta sfarfallante e antichizzata e poi mostra che il documento è un falso perché c’è la sua troupe. L’Italia perbenista di sinistra vorrebbe linciarlo, ammazzarlo, mandarlo in galera. Racconta di quando sua madre con cui no era in buona, per una sola volta gli impose un raccomandato nipote dei una sua amica molto pressante: era Massimo Giletti che tanto fece e tanto si impose che alla fine entrò nel circo di Giovanni e ancora oggi parla e imposta la sua fonetica alla maniera del Minoli d’antan, che è sempre un gesto d’omaggio.

Giovanni è stato un dirigente televisivo che avrebbe meritato la direzione generale e poi la Presidenza e invece l’hanno tagliato fuori perché ha sempre dato troppo fastidio. Ingombrante, è ingombrante. Ma tutte le persone di genio lo sono, tutti i vincenti lo sono, ma quando uno è di genio ed è vincente, deve stare molto attento perché i bravi ragazzi del potere lo aspettano per strada per farlo fuori e infatti Giovanni Minoli ha sempre sfiorato l’apice senza mai conquistarlo e forse questa insoddisfazione, ma diciamo meglio questa palese ingiustizia lo ha reso ancor oggi un fighter, un lottatore, uno che non molla. Un giorno a casa sua mi mostrò con le lacrime agli occhi un mobile con tutti i dvd di tutte le sue interviste, era un regalo di sua moglie e degli amici più stretti ed era commosso. La storia siamo lui, in buona parte, a prescindere dalle differenti opinioni che del resto sono state tutte figlie dei loro tempi, e quei tempi lui li ha solcati a motoscafo, giù a manetta. Ed ecco Cossiga, di cui sono stato per anni il partner mediatico perché così decise lui (ed era molto divertente) che tiene testa a Minoli con gagliardia sarda, come quasi tutti i grandi della Terra o almeno della Prima Repubblica, gente di levatura e fibra ritorta solida. Ciriaco De Mita, indispettito contro Agnelli che lo aveva definito “un intellettuale della Magna Grecia”, risponde stizzito che Agnelli era solo un mercante. Quanto a Minoli, così come l’abbiamo rivisto nel suo momento alla lunga memoria, e visto quanto sa sorridere ancora e divertirsi, adrenalinico e nello spirito giusto, viene da dirgli soltanto: provaci ancora, Giovanni e, caso mai, fai un fischio.


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