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Simone Biles

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Dicono certe statistiche, che se non esprimono certezze assolute manifestano però tendenze, che le visualizzazioni su Tik Tok, il social più in voga tra i ragazzi (il trend è mobile), dei video accompagnati dall’hashtag #mentalhealth abbiano avuto un’impennata all’epoca del lockdown anche del 125 per cento.

Hanno avuto un successo globale i Maneskin, i ragazzi che suonavano e cantavano in Via del Corso a Roma e che hanno conquistato prima Sanremo, poi l’Eurosong Contest e ora le classifiche d’ascolto o di “scarico”. Un loro brano, quello del boom festivaliero, recita, fra l’altro, “siamo fuori di testa, ma diversi da loro”.

È l’ansia o la depressione o quel che è dal punto di vista della scienza che attanaglia le generazioni targate Y e Z, o Millennials e Zoomer, rispettivamente Anni Novanta e Anni Duemila. Non è la ricerca della felicità, ma la ricerca della normalità, che non sia però omologazione.

Le Olimpiadi ritardate per via del virus, in corso a Tokyo, hanno fatto esplodere la tendenza e i campioni modello, come tante altre cose della vita, le mezze stagioni e il dolce della nonna tra le altre, stanno mostrando un nuovo “sentiment” che risultava sconosciuto ai campioni di un tempo. Quel che li vince non è, a volte, un avversario ma più forte, ma l’avversario dentro: è la “neofragilità”.

Gli esempi più clamorosi, data la portata mediatica dei personaggi, sono venuti dalla grandissima ginnasta americana, Simone Biles, e dalla tennista giaponese (di cultura americana) Naomi Osaka.

La Biles, che è del ’97, e che molti commentatori ritengono superiore addirittura a Nadia Comaneci, la bambina rumena degli Anni Settanta-Ottanta che mandò in confusione i led di Montréal ’76 perché i giudici le attribuirono il voto di 10 e il display non era programmato per la doppia cifra quindi “uscì” “1” fra lo sconcerto generale, ha attraversato una vita che dire di contrarietà è usare eufemismi: il fisico non l’ha aiutata fuori dalla ginnastica (è alta 1,43 al suo massimo sviluppo); la famiglia men che meno: i genitori la abbandonarono da piccola insieme con fratelli e sorelle ed i nonni la adottarono sì, ma solo lei e una sorella dei quattro che erano; da ginnasta ha dovuto affrontare direttamente o per vita di amiche, gli abusi sessuali di un medico sportivo che, anche su sua denuncia e testimonianza, è stato condannato a 176 anni di carcere.

I trionfi olimpici e mondiali (ha fatto una raccolta di medaglie che neanche un riccone numismatico) sembravano averla messa al riparo. Magari non era di quella razza algida di campioni al computer dell’Est di una volta (l’Urss, la Ddr) o di quella allegra dei Caraibi, tipi alla Bolt.

Però nessuno si aspettava che, coraggiosa come sempre, manifestasse il proprio disagio in modo così plateale: mi sento il mondo addosso, ho i demoni in testa, ha detto annunciando il ritiro momentaneo dalle competizioni mentre andava per l’oro; ho i twisties, ha detto, che sarebbero quelle sensazioni che ti fanno perdere il senso di dove sei e cosa fai e se sei in aria a fare un esercizio dei tuoi puoi cadere “come corpo morto cade” e non sai più nulla di nulla, perfino di non sapere.

Di altrettanta sindrome olimpica, che sia ansia o depressione, ha sofferto la Osaka. Lei, ugualmente classe ’97, il suo disagio lo aveva già manifestato a Parigi, torneo del Roland Garros, quando si era ritirata perché non sopportava più la pressione mediatica ma anche quella personale di dover “vincere per forza”. Le hanno affidato l’ultima fiaccola olimpica, con l’onore dell’accensione del braciere all’apertura dei Giochi, ma questo non le ha dato sicurezza, forse anzi il contrario. Appena potuto, ha perso un match ed è uscita di scena.

Tutto troppo grande per l’umana fragilità? Forse. Mentalhealth è anche quello che hanno tirato in ballo Harry e Meghan per lo “scappa di casa” pure se reale, dove l’essere algidi è quasi nel dna.

Certo la questione, che è legata anche alla sovraesposizione che oggi campioni e no, perfino i vicini di casa han no sul web senza controllo, è destinata a crescere. Riporta piuttosto con i piedi per terra la canoista australiana Jessica Fox: ha riparato un guasto alla canoa utilizzando un preservativo che aveva nel kit dell’atleta. Sembrerebbe un bell’atterraggio sulla quotidianità, ma attenzione: lo ha filmato e messo sui social.


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