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Illustrazione di Roberto Melis

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L’unico, fra le migliaia di persone presenti il 31 ottobre 2002, al Mahamasima Municipal Stadium, lo stadio di Antananarivo, capitale del Madagascar, che ne tenne il conto con precisione da ragioniere fu Benjamina Razafintsalama. Lo stadio ha una capienza di 22 mila persone dopo l’ultima ristrutturazione portata a compimento da ditte cinesi simbolo e sintomo della “colonizzazione gentile” in atto nel Terzo Millennio in Madagascar come in molti altri Paesi africani. È la casa della nazionale malgascia: i malgasci sono gli abitanti del Madagascar, che è la quarta più grande isola del mondo, dopo la Groenlandia, la Nuova Guinea e il Borneo e si trova nell’Oceano Indiano, di fronte alle coste del Mozambico, a 400 chilometri di distanza. I calciatori della Nazionale sono soprannominati “scorpioni” e la squadra nel suo complesso “Barea”, che una specie di zebù rappresentato in silhouette nello stemma della Federazione e simbolo della ricchissima biodiversità dell’isola.

Quel 31 ottobre 2002 le squadre in campo per l’ultima giornata del campionato nazionale erano l’Adema e l’Emyrne, un derby, giacché entrambe le squadre fanno parte di una pattuglia con sede ad Antananarivo, manco fosse Londra con Chelsea e Tottenham, West Ham e Arsenal, Fulham e Crystal Palace. Il derby del 2002 aveva assunto un’importanza ancora più forte della solita, giacché fino alla penultima giornata sembrava potesse decidere dello scudetto.

Ma era stato lì che l’Emyrne aveva perduto la sua chance: aveva pareggiato 2 a 2 contro il DSA Antananarivo, subendo un rigore che i più benevoli avevano definito “generoso”, i tifosi e lo staff dell’Emyrne “inventato”, fischiato a tempo scaduto, recupero compreso. L’arbitro era stato l’oggetto delle più feroci contestazioni, in campo e nel calcio parlato di dopo (anche in Madagascar hanno lo tsunami degli opinionisti). L’arbitro chi? Benjamina Razafintsalama.

Se lo trovarono di fronte, i ragazzi di Zaka Be, allenatore dell’Emyrne, anche in quel derby che avrebbe potuto decidere lo scudetto e che invece, dato quel rigore, non avrebbe deciso più nulla. La designazione non fu certo la più opportuna: è come se mandassero Byron Moreno, l’arbitro che fischiò l’eliminazione dell’Italia ai mondiali del 2002 in Corea del Sud contro i padroni di casa, fosse stato poi scelto per Italia-Francia, la notte di Berlino nel 2006. Zaka Be aveva studiato la vendetta. Le squadre si misero in posa per le foto di rito, quelli dell’Emyrne in maglia verde con spalline bianche, lo scudetto che avevano vinto l’anno prima per l’ultima volta sul petto, e visi ingrugnati. I capitani si strinsero la mano, si scambiarono i gagliardetti. la monetina stabilì palla e campo. La palla toccò all’Adema.

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Fu quella la prima e unica volta che, per tutti i 90 minuti, i campioni del Madagascar la toccarono. Perché appena il pallone venne intercettato da uno dei giocatori dell’Emyrne questi, di prima, lo passò a un compagno che avviò una azione fulminea che portò un altro compagno solo davanti alla porta: tiro, rete. La porta era quella dell’Emyrne: autogol. Il portiere aveva perfino finto un tuffo liberatorio che non liberò niente. Benjamina annotò, calmo e puntuale, l’1 a 0.

Lo avrebbe fatto altre volte, senza perdere la calma né la penna. Ogni volta i giocatori mettevano la palla al centro, la passavano indietro, e rapidamente la mettevano nel sacco del proprio portiere. Benjamina convalidava e annotava. Successe, in tutto, 149 volte. Il match finì 149 a 0, record del mondo di gol (e ovviamente di autogol, perché le reti furono tutte “in proprio”). Le stelle dell’Adema restarono a guardare, gli spettatori meno: molti di loro andarono via prima affollando il botteghino e chiedendo il rimborso del biglietto, che non ottennero. In fondo avevano goduto dello spettacolo del gol. Benjamina nell’intervallo si era munito di una penna nuova, ché la prima la aveva scaricata, e di foglietti supplementari che teneva in mano perché non faceva in tempo, fra un gol e l’altro, a metterli nella tasca. Il referto non era un foglio in una busta ma divenne un pacco postale. La Federazione malgascia lo aprì e omologò il risultato che divenne ufficiale: 149 a 0.

Gli statistici e il Guinness dei primati ne presero buona nota: Adema-Emyrne 149-0 divenne il risultato con il più alto numero di gol mai registrato durante una partita di calcio, con il maggior numero di autogol, con il maggior numero di tiri in porta. La televisione ebbe i suoi problemi nel selezionare gli highlights. Zaka Be fu squalificato per tre anni, il capitano e altri tre giocatori dell’Emyrne per due: erano stati i più decisi nella protesta, quelli che avevano segnato più gol scagliando palloni ad altissima velocità nella propria porta. Magari nessuno di loro raggiunse i 221,7 chilometri orari che è il primato in materia raggiunto da una punizione di Ronnie Heberson, calciatore brasiliano, almeno fino al 2021.

Il risultato che fin lì era indicato come record venne degradato: era un 36 a 0 realizzato in un match di coppa il 12 settembre 1885 in Scozia dalla squadra dell’Arbroath contro il Bon Accord di Aberdeen, 15 a 0 alla fine del primo tempo e senza contare, per regolamento, i sette gol che l’arbitro Dave Stormont annullò per fuorigioco, rischio che i biancoverdi dell’Emyrne non corsero giacché mai si diressero verso la porta avversaria. Si diressero, invece, verso la farsa: però possono raccontare di non aver fatto toccare la palla agli avversari, letteralmente. Fortunatamente a questo “Madagascar” non fu dato sequel, come invece, altrettanto fortunatamente, al film di successo nel quale il leone Alex si convertiva al sushi.


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