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Gigi Buffon e Cristiano Ronaldo

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«Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria»: è un brano della terzina che va dal verso 121 al verso 123 (compresi entrambi) del V° Canto dell’Inferno ed è quella in cui Francesca vede Dante e s’appresta a raccontargli di sé e di Paolo e di Lancillotto (come amor lo strinse). Ma, per scendere un po’ di tono nella citazione riguardo alla nuova serie “All or Nothing: Juventus”, quella che vedremo (dal 25 novembre su Prime Video) «non è, non è Francesca» (copyright Mogol-Battisti). È, piuttosto, Cristiano Ronaldo. Anche se, va riconosciuto, il tempo non è stato poi tanto felice, visto che, venuto per la Champions che aveva vinto sempre e ovunque, da Torino perfino CR7 è ripartito a mani vuote dell’oggetto del desiderio bianconero, frustrato da un sortilegio un po’ troppo duraturo.

Accade così che una specie di instant movie destinato a scuotere umori, cuori e merchandising, si trasformi d’improvviso in una operazione nostalgia, nostalgia del campione portoghese che adesso è a Manchester, di Gigi Buffon, altra figura che campeggia nel trailer e che è a Parma pagando, lui sì, il prezzo alla nostalgia di quand’era un ragazzo che sperava nella Juve e intanto cresceva in quel Parma così bello e ricco, e di Andrea Pirlo, che invece non è da nessuna parte al momento, ma il treno prima o poi passa davanti a una panchina e ti porta su di un’altra.

È il rischio d’impresa: ormai il mondo va ad alta velocità (solo i treni regionali non lo fanno) e il tempo della produzione rischia di far ingiallire ogni foglia. Lo sport è uno dei maggiori veicoli di comunicazione del nostro tempo e di quello appena precedente. Ha fatto da traino ai giornali: ce n’erano di giornaloni che, all’atto di nascita, con filosofia snob da salotto radical-chic, dicevano “no, noi no: non ci occuperemo di sport” ed invece poi sono stati costretti ad aprirne una sezione, magari bellissima questo sì; lo ha fatto alle televisioni, pubbliche e private e poi a pagamento e no; lo ha fatto a carriere politiche che si sono fondate sul pallone; lo sta facendo alla rete, mica quella della porta, quella con la maiuscola che diffonde notizie vere e no e che nutre di melassa o di fiele, di balsamo o di veleno, il narcisismo d’ogni persona, donna o uomo che sia, “gender equality” assoluta davanti all’apparire e alla caccia al cuoricino.

Così si corre il rischio d’apparire vecchiotti appena nati, ma che importa? Il presente, appena scritto, è già passato. E poi CR7, da portoghese e dunque progenitore dei brasiliani, invita alla “saudade”, a quella malinconia dolce che pervade quella gente simpatica e calciatrice e che ti riporta a quel che era, o che poteva essere, ma non fu.

Magari solo per un “corto muso”, che è l’unità di misura con cui Max Allegri calcola le cose della vita, secondo i distacchi dell’ippica (gli altri sono la testa, la lunghezza in varie frazioni e unità, fino a quel sublime ordine d’arrivo che secoli fa descrisse la vittoria di un celeberrimo purosangue, un progenitore, tale Eclipse. Scrisse il giudice d’arrivo: primo Eclipse, gli altri in nessun luogo).

Il mercato ti divora: tu gli strizzi l’occhio e quello ti ha già mangiato. Vuoi cogliere l’attimo fuggente, ma quello magari è già fuggito, magari su una delle luxury cars di CR7 che partirono da Torino nottetempo, più numerose di quelle incolonnate nel corteo di Sleepy Joe o dei jet privati che hanno inondato di CO2 l’aeroporto di Glasgow per andare a discorrere contro la CO2.

Ma, siccome le statistiche hanno sempre raccontato che tre italiani su 10 sono juventini, l’audience è garantita. Anche perché gli altri 7 si assembrano se, pure in bianconero, ce ne mostrano di tutti i colori. Sì, accenderemo la tv o un altro gadget, “All or Nothing”.


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