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L'ex Ilva di Taranto

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SUL quotidiano “La Repubblica” di pochi giorni fa Marco Patucchi racconta quali siano le possibili conclusioni del programma che il management del centro siderurgico di Taranto intende portare avanti. In particolare: “Decarbonizzazione totale entro dieci anni con l’approdo all’idrogeno verde, passando attraverso una fase di mix tra ciclo integrale e forni elettrici (fino ad un massimo di tre impianti) alimentati con gas e preridotto. Calendario dei target di produzione annua spostato in avanti rispetto al progetto originario che prevedeva 5 milioni di tonnellate di acciaio quest’anno, 6 nel 2022 e nel 2023, 7 nel 2024 e 8, a regime nel 2025 (di cui 2,5 da forni elettrici.

Le coordinate del nuovo Piano industriale di Acciaierie d’Italia sono ormai tracciate dalla interlocuzione tra Arcelor Mittal e Invitalia giunta ad una sintesi. Un piano ambizioso, se si considera che in altri Paesi europei come Francia e Germania, la decarbonizzazione totale della siderurgia è prevista entro il 2040”. Dopo questo entusiasmante racconto il Presidente Bernabè precisa che “il Consiglio di Amministrazione ha definito un Piano di transizione energetica, tema di grande complessità industriale, ambientale e sociale.

Ma il problema non può essere risolto dal Consiglio di Amministrazione che può solo definire un percorso da verificare con il Governo, le Amministrazioni locali e anche con i sindacati per quanto riguarda la occupazione. Nel momento in cui ci saranno le condizioni di un piano condiviso con esecutivo ed enti locali, a quel punto noi ci siederemo al tavolo con i sindacati”

Purtroppo, sottolinea Marco Patucchi: “Al momento le condizioni invocate dal Presidente Bernabè non ci sono; mancano addirittura le pre condizioni una su tutte la liquidità necessaria a consentire all’ex ILVA di sfruttare la congiuntura favorevole dei mercati siderurgici; l’impianto di Taranto continua a lavorare al minimo e per accelerare avrebbe bisogno di una linea di credito di almeno 700 milioni di euro”.

Ho riportato integralmente questa triste narrazione di una realtà produttiva che dal 2016 continua a non trovare nessuna linea strategica capace di uscire da una emergenza che è diventata irreversibile e, giustamente, prendono corpo sempre più quegli interrogativi che da anni non hanno avuto risposta quali, solo a titolo di esempio:

  • 1. Cosa era scritto nel contratto tra l’allora Ministro dello Sviluppo Calenda ed Arcelor Mittal che con una gara internazionale si era aggiudicata, nel 2016, la gestione del centro siderurgico ed aveva assicurato una soglia di produzione di circa 8 milioni di tonnellate ed un mantenimento dei livelli occupazionali superiori alle 12.000 unità?
  • 2. Cosa era scritto nel contratto rivisto dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ed Arcelor Mittal; un contratto rivisto integralmente perché ritenuto inaccettabile quello firmato dal precedente Ministro Calenda. Un contratto che a detta del Ministro Di Maio doveva mantenere inalterati i volumi di produzione e garantire davvero i livelli occupazionali?
  • 3. Cosa era scritto nella serie di accordi avviati e mai conclusi tra il Presidente Conte, il Ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli e sempre Arcelor Mittal negli anni 2018 e 2019; accordi, ripeto, assunti anche con le organizzazioni sindacali dallo stesso Presidente Conte ma rimasti solo semplici dichiarazioni di intenti?
  • 4. Cosa sta attualmente pensando di fare il Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti; quali azioni intenda prendere di fronte a questa evidente preoccupante ed assurda stagnazione, di fronte a questo fallimento produttivo in una fase favorevole per il mercato mondiale dell’acciaio?

Questi interrogativi, in realtà, come più volte da me ricordato in precedenti miei interventi, dovevano essere fatti dal Sindacato, dalla Regione Puglia, dalla Provincia di Taranto, dal Comune di Taranto; in realtà questa bomba sociale, a mio avviso, è già esplosa in quanto questa vasta area del Salento risente già di un dramma occupazionale di oltre 20.000 unità, è già esplosa in quanto, in questa vasta area a cavallo delle due province di Taranto e Brindisi, da almeno tre anni sono crollati integralmente i consumi.

Non ha senso, in questa lunga fase ricca di fallimenti, cercare responsabilità; occorre invece convincersi, una volta per tutte, che non ci sono più le condizioni per continuare a produrre programmi, per continuare a produrre soluzioni strategiche, per continuare ad aprire e chiudere tavoli di confronto. La credibilità del Governo centrale e locale si misura non anticipando proposte ma decidendo e questo da ormai sei anni non è avvenuto.

Il Presidente Draghi sa bene che oggi Arcelor Mittal, Invitalia, l’attuale Consiglio di Amministrazione che gestisce il centro siderurgico, non sono più interlocutori possibili; per uscire da questa emergenza bisogna cambiare integralmente i comportamenti. È arrivato il momento per rescindere il rapporto contrattuale con Arcelor Mittal e mettere in gara, con delle condizioni completamente riviste, l’impianto. Continuare a mantenere lo status quo significa diventare responsabili di un ulteriore imperdonabile fallimento.


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