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Due fratelli di Cosenza, il gemellaggio con gli chef catanzaresi Abbruzzino e la rivoluzione del gusto. Dopo “Civico 1845” arriva “Il Dandy”

COSENZA – Se in California dici Gallo pensi subito all’impero del vino. E invece da qualche anno, almeno a San Diego, quel cognome significa alta ristorazione. Anzi: alta ristorazione calabrese. In questi giorni la rivoluzione del gusto avviata dai giovani fratelli cosentini Pietro e Dario Gallo si  prepara al grande salto, con la nascita de Il Dandy, primo ristorante a portare delle stelle Michelin italiane in California.

È una storia di emigrazione e di successo, ma anche di dialogo, perché le seconde generazioni dei Gallo e degli Abbruzzino rinnovano una collaborazione nata con i padri, un legame doppiamente importante nella terra in cui tra Cosenza e Catanzaro non corre proprio buon sangue. Dalla California, Dario Gallo parla per la prima volta del Dandy.

Da quanti anni avete lasciato la Calabria e, soprattutto, valutate di tornare prima o poi?

«Siamo partiti in avanscoperta nel settembre del 2013, al momento non penso sia nostra intenzione tornare, soprattutto per i molteplici impegni lavorativi intrapresi. Naturalmente, come ogni italiano all’estero penso si possa considerare un ritorno solo nel momento in cui si apra uno spiraglio di cambiamento».

Come nasce la passione per l’alta cucina?

«Personalmente avendo studiato e vissuto a Milano sin da quando avevo 18 anni, sono stato esposto al mondo dei ristoranti un po’ più anticonvenzionali e “sperimentali” della città».

E il rapporto con gli Abbruzzino?

«Il rapporto è iniziato sicuramente tra mio padre ed Antonio sin dai tempi in cui mio padre riforniva con la sua azienda di prodotti per la pulizia il ristorante di Antonio a Catanzaro. Nel corso degli anni abbiamo seguito l’ascesa degli Abbruzzino e ci siamo appassionati sempre di più alla loro cucina. Una volta aperto il nostro primo ristorante, Civico 1845, abbiamo iniziato a pensare subito al secondo step, fantasticando sull’eventuale collaborazione con Luca e Antonio». 

Può darci qualche anticipazione del menu?

«Il menu parte dagli ingredienti e la tradizione della nostra regione, realizzati in chiave moderna, incontrando i prodotti biologici del sud della California e il pesce fresco dell’ Oceano Pacifico. Oltre ad antipasti, primi piatti, secondi e dolci il menu includerà anche una pizza “gourmet” con un impasto di 3 farine, 48 ore di lievitazione, una percentuale di lievito molto ridotta e un’alta idratazione. Facendo anche educazione su come la pizza possa essere salutare».

Oltre alla cucina calabrese saranno presenti altri prodotti e piatti della tradizione regionale italiana?

«No, il Dandy sarà solamente concentrato sull’evoluzione della cucina calabrese. Avremo però una saletta privata contenente uno Chef’s Table chiamata “Arama” (richiamando la “rama” in calabrese) dove gli chef saranno liberi di allargare l’esperienza ad un livello ancora più elevato, uscendo fuori dai confini della Calabria».

Qual è il suo primo ricordo legato al cibo?

«Beh, come ogni calabrese penso siano mia nonna e mia madre, alla domenica mattina, che impastano gli gnocchi o la “pasta asciutta” per il pranzo domenicale».

E il prodotto calabrese o comunque italiano al quale non rinuncereste mai?

«Penso la rosamarina!».

Come ci si trova a lavorare tra fratelli e come dividete i carichi di lavoro nella vostra attività?

«Solitamente lavorare tra fratelli non è mai semplice. Nel nostro caso però siamo stati molto bravi a dividere bene i compiti evitando ogni tipo di sovrapposizione. Io mi occupo della parte amministrativa e della gestione della sala, mio fratello Pietro si occupa degli approvvigionamenti e della gestione della cucina. Insieme riusciamo quindi a compensarci e coprire tutti i compiti gestionali con il minor numero di litigi familiari».

Tra i princìpi che ispirano Il Dandy c’è quello che definite “un approccio contemporaneo alla cucina tradizionale calabrese”: come pensate reagirà la clientela?

«A San Diego c’è molta aspettativa per Il Dandy. Soprattutto perché saremo i primi a portare delle stelle Michelin italiane in tutta la California. Poi per la nostra famiglia è anche il secondo passo verso la “rivoluzione” della cucina italiana in questa città. Civico 1845 ha già avuto riconoscimenti in tutti gli Stati Uniti essendo stati noi i primi ad introdurre un menu italiano totalmente vegan e per l’autenticità del menu tradizionale. Penso quindi che adesso sia il momento giusto per proporre ed educare il pubblico di San Diego a una cucina moderna italiana».

Cosa manca alla Calabria per diventare davvero la “California d’Italia”?

«Beh, sicuramente la mentalità giusta! Torno in Calabria ogni 6-10 mesi e purtroppo ancora non avverto alcun cambio di rotta nelle persone, più che nella politica. Sento parlare di “abbiamo la regione più bella e con il potenziale più grande d’Italia” sin da quando ero bambino ma non vedo un impegno reale a vivere civilmente anche nelle piccole cose da parte dei sui abitanti. Un grande cambiamento parte sempre dalle piccole cose. Quello che manca quindi è non solo un sistema politico che garantisca ai lavoratori la propria dignità, ma pretendere una meritocrazia sana ed il rispetto delle regole. In questo modo sono sicuro che l’Italia possa diventare la più grande potenza al mondo, oltre che il Paese più bello».


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