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LI HANNO lasciati senza infermieri. E con i malati infettati da curare. Spinti a dare le dimissioni dalle residenze per anziani proprio nei giorni dell’emergenza per essere assunti nelle Ats, le aziende sanitarie lombarde. Dimissioni immediate, senza preavviso, in pieno e dilagante contagio. Attratti da retribuzioni più alte, con la prospettiva di contratti a tempo indeterminato, in condizioni di maggior sicurezza. Finalmente mascherine, guanti, tute, visiere nelle strutture gestite dalla regione. Come biasimarli, del resto?  

A VOI I PAZIENTI A NOI GLI INFERMIERI  

«Se ne sono andati da un giorno all’altro in una situazione per noi molto ma molto complicata», ricorda quelle ore drammatiche Fabrizio Ondei, presidente di Uneba Bergamo. Erano i giorni in cui la Regione chiedeva disperatamente posti-letto. Rsa idonee ad ospitare pazienti positivi al Codiv.19. L’assessore al Welfare Gallera e i vertici delle aziende territoriali (Ats) cercavano posti per l’isolamento e nel contempo reclutavano, nelle case di cura che si mettevano a disposizione, il personale. Un gatto che si morde la coda, un’emergenza nell’emergenza. Una tempistica per lo meno discutibile.  Come ne siete usciti? «Non dovrei dirlo, lo so, ma proprio in quei giorni abbiamo perso un terzo dei nostri ospiti. E a quel punto, lavorando senza sosta notte e giorno, le persone da assistere c’erano e siamo andati avanti.  Ma è stata durissima».

Fabrizio Ondei è anche il direttore della Fondazione Anni Sereni, località Treviglio. La Bergamasca colpita al cuore. Spiega: «Come la mia, tante altre strutture hanno dovuto mettersi in cerca di personale. Servivano professionisti qualificati, infermieri che non si possono formare in pochi giorni. E non potevamo neanche ricorrere ai volontari». Bergamo ogni giorno conta e riconta le sue vittime: le diverse scale di grigio che portano al lutto di una intera comunità. «In questa provincia le nostre residenze ospitano circa 6000 anziani, circa un terzo, una percentuale tra il 25 e il 30%, purtroppo non ce l’ha fatta».

Strutture convenzionate. Enti senza scopi di lucro, fondazioni come quella del presidente Ondei. Duecento posti-letto e 180 dipendenti, 40 anni di assistenza per il recupero fisico delle persone anziane. Fu fondata dal Cardinal Montini che poi sarebbe diventato Paolo VI.  Nello scorso gennaio era stata posta a prima pietra per un ampliamento delle case di riposo. «Chi disponeva di posti-per post-acuti non poteva dire di no alla Regione. Anche per una questione etica. Chi può quando serve aiuto deve dare una mano». 

Chi ha sbagliato? «Ci sono state troppe disposizioni contrastanti, ad esempio, quando ci è stato detto che per tornare al lavoro non bisognava misurarsi la temperatura ma bastava una autocertificazione. Poi è arrivato il contrordine: misurate la febbre. Noi abbiamo avuto un buon 30% di personale che si è messo in malattia. E a nessuno quando sono rientrati al lavoro è stato fatto il tampone. Sono arrivati ieri, solo 27 tamponi. Dobbiamo farceli bastare».  

LA FINANZA AL PIRELLONE

La Guardia di finanza è entrata ieri nel palazzo della Regione Lombardia per acquisire “documenti utili alle indagini”. Non una “perquisizione” chiariscono le Fiamme gialle, anche per alleggerire il clima che nei corridoi del Pirellone si fa sempre più pesante. Per dirne una, Gianfranco Privitera, figlio di un’anziana ospite del Pio Albero Trivulzio di Milano, ieri ha lanciato una petizione sulla piattaforma Change.org per chiedere la ministro alla Salute Roberto Speranza che a tutti gli ospiti e al personale del Pat vengano effettuati i tamponi. In poche ore ha raccolto poco meno di 30 mila firme.  Una procedura, quella della petizione, decisamente anomala, per un controllo sanitario “normale”, necessario già una settimana fa, che forse avrebbe evitato l’esplosione del contagio costato la vita a più di un terzo dei 150 ospiti della struttura. «Vogliamo sapere come vengono curati – si legge nell’appello lanciato dal figlio della degente – gli anziani sono persona e non materiali di scarto». Sappiamo che muoiono a centinaia tutti i giorni e nessuno ci dice perché”.  

L’INCHIESTA SUL TRIVULZIO E LA PETIZIONE WEB

La ricerca del “perché” è ormai affidata ai magistrati.  L’inchiesta sulle Rsa va avanti. L’ipotesi di reato avanzata dalla Procura d Milano è di omicidio colposo ed epidemia colposa nei confronti del direttore del Pio Albergo Trivulzio Giuseppe Calicchio. Il settore è gestito da fondazioni, enti morali, ecclesiastici, imprenditori privati e in parte dal pubblico. Un segmento del welfare nazionale che si regge sui posti in convenzione messo ora a dura prova. Chi si affiderà più alle Rsa? Il danno di immagine è enorme. Più che normale dunque che dopo le denunce iniziali si faccia dietrofront. L’avvocato Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia è stato il primo a rompere il silenzio accusando su questo giornale la Regione Lombardia di aver indirettamente lanciato “un cerino in un pagliaio” con la delibera XI/20906 dell’8 marzo in cui si contemplava la possibilità di trasferire i malati di Covid nelle residenze per anziani. 

Ora ci va molto più cauto. Dice: «So di andare controcorrente ma io non sono fatto convinto che dentro il Trivulzio sia accaduto un delitto o nelle Rasa attualmente indagate». E l’inchiesta? «La Procura fa il suo mestiere».  A rischio è l’economia della Quarta età, un ramo d’azienda del comparto salute, l’assistenza a non autosufficienti, disabili, malati di Alzheimer e altre gravi patologie. In Lombardia vale circa 70 mila posti-letto.  Gli ospiti delle strutture convenzionate con la Regione hanno in media 85 anni. La retta si aggira intorno ai 3000 euro mensili. Il 40% a carico dell’ente locale. Ma se chi ha gestito l’emergenza nelle Rsa non ha colpe di chi è la responsabilità per la strage dei nonni? «Continuo a ritenere – è la risposta di Degani – che il Trivulzio avesse il diritto di avere un supporto dall’esterno ancora più forte, che fosse della sanità o della Protezione civile poco importa me è un diritto e non una fonte di responsabilità». Non è un dettaglio, però, che la Sanità nel nostro Paese sia a carico delle regioni. E che al Trivulzio in un primo momento era stato allontanato un primario che aveva osato chiedere le mascherine.  

GLI OSPIZI  DIVENTANO OSPEDALI     

I controlli sono scatti anche in altre regioni. In Piemonte, innanzitutto, dove i numeri dei decessi nelle Rsa salgono. A Udine, in Friuli-Venezia Giulia, ispezioni dei Nas in 600 strutture, 21 anziani, tutti positivi, sono stati evacuati.  Un’informativa molto simile a quella avviata in altre regioni è partita a causa dell’alto numero di contagi e di decessi nelle 77 case di riposo del Reatino. Il copione è lo stesso, stesse procedure già adottate nell’indagine sul Pio Albergo Trivulzio di Milano per evidenziare eventuali mancanze e carenze gestionali.  Nel Lazio, in realtà, dopo alcuni sbandamenti iniziali, si è seguita una strada diversa. Una delibera del 28 marzo scorso dava indicazioni simili a Lombardia e Piemonte riversando negli ostelli per gli anziani i positivi Codiv. In extremis c’è stata però una inversione di rotta decisiva. 

La Asl 6 di Roma proprio ieri ha deciso ad esempio di trasformare l’ex nosocomio di Genzano, dove sono ricoverati molti anziani, in una Covid-Hospital. Una scelta condivisa anche dai sindaci dei Castelli romani, il sistema regionale si è messo sin da subito al lavoro per differenziare i percorsi e formare il personale con l’ausilio di operatori dello Spallanzani di Roma. Un approccio molto diverso dalla Lombardia, servito finora a contenere il contagio.   


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