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Il rendering del Ponte sullo Stretto

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Quello del Ponte sullo Stretto è un tema che periodicamente emerge nel dibattito politico. L’infrastruttura appare però come una chimera. Dagli antichi romani ai nostri contemporanei, passando per normanni e Borboni, nessuno è riuscito finora ad andare al di là del mero proposito di collegare Sicilia e Calabria.

Una soluzione per uscire dallo stallo è stata proposta ieri alla Camera, nel corso della conferenza “Le Macroregioni europee del Mediterraneo e l’area dello Stretto”, che ha visto il coinvolgimento di varie organizzazioni e di esperti e rappresentanti istituzionali. Tra i relatori Aurelio Misiti, già viceministro e poi sottosegretario ai Trasporti nel terzo governo Berlusconi e, prima ancora, dal 1995 al 2003, presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e commissario straordinario per le Grandi Opere del Sud.

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A suo avviso – come spiega a Il Quotidiano del Sud – il Ponte sullo Stretto è un progetto che non riesce a decollare «perché rappresenterebbe una forte novità meridionalista, che ancora il Paese non è pronto ad accogliere».

Secondo Misiti, infatti, in Italia passano i governi ma resta salda una strategia economica secondo cui gli investimenti vadano fatti nelle zone più produttive. Strategia che a suo avviso è oggi corroborata dalla legge sulle autonomie ma che l’ex viceministro ritiene fallimentare: «È da quarant’anni che l’Italia non cresce, del resto come potrebbe farlo se una parte del Paese, il Mezzogiorno, ha un pil che vale la metà della media nazionale?».

Incentivare lo sviluppo del Sud, pertanto, porterebbe giovamento a tutto lo Stivale. Misiti individua tre fasi per ridare smalto al Mezzogiorno.

«In primo luogo – spiega – si tratterebbe di triplicare gli investimenti sulla sicurezza», assumendo più agenti e magistrati di quanti ne servano. Un modo, dunque, per rafforzare la consapevolezza che lo Stato è presente e che – dice – «non lascia gli imprenditori in balia della criminalità». Fatto ciò, per Misiti è necessario «ripudiare l’assistenzialismo e incrementare mirate politiche lavorative».

Il concetto di mirate è centrale: l’ex viceministro reputa che al Sud si debbano adottare i “contratti locali” in luogo dei “contratti nazionali”, perché «lo stipendio dei lavoratori va proporzionato al tenore di vita».

Queste due condizioni attirerebbero gli investitori stranieri, perché garantirebbero sicurezza e un abbassamento del costo del lavoro. Poste queste due basi, Misiti ritiene che starebbe poi allo Stato investire in infrastrutture. E i soldi? L’ex viceministro pungola un nodo allo stomaco dei meridionali: il Fondo per le aree sottoutilizzate (Fas) destinato per l’85% al Sud (circa 27miliardi) ma usato negli anni scorsi per altri scopi.

«Sarebbe opportuno – la sua proposta – pianificare un programma decennale di restituzione di questi fondi a circa 3miliardi l’anno per fare infrastrutture al Sud», tra cui il Ponte. Il costo di quest’ultimo, secondo i suoi calcoli, sarebbe oggi di massimo 3 miliardi. Lo stesso Misiti, da tecnico alla guida del Consiglio superiore dei lavori pubblici, diede il via libera a un aggiornamento del progetto preliminare del Ponte che risale a decenni fa.

«Oggi – afferma – abbiamo due novità fondamentali, ossia i progressi del lavoro off-shore che ci consentono di fissare i pilastri a decine di metri di profondità nel mare. E poi – prosegue – materiali in acciaio che sono molto più leggeri e resistenti di quelli del passato». Due fattori, questi, che ridurrebbero di gran lunga i costi.


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