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Uno scorcio della città di Foggia rasa al suolo dai bombardamenti alleati

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Nella torrida estate del 1943 su Foggia piovve fuoco. La campagna dei caccia anglo-americani fu devastante: partirono dagli aeroporti del Nord Africa e puntarono dritti sulla città pugliese, dove sganciarono bombe a profusione e non risparmiarono alla popolazione civile gli spietati mitragliamenti. Fu un inferno, iniziato a fine maggio e finito il 18 settembre, dieci giorni dopo l’armistizio.

Foggia fu rasa al suolo, il numero delle vittime ingente (si stimano almeno 20mila caduti), infrastrutture e palazzi resi cenere. L’ecatombe fu simile a quella subita da Dresda e Coventry. Quando le truppe alleate (sic!) entrarono in città nel settembre ‘43, trovarono un clima spettrale, riuscirono ad impadronirsi dello scalo ferroviario e dei campi di aviazione, dai quali si lanciarono alla conquista di Italia e Germania. È una pagina di storia, una delle tante tragiche che si addensano nel periodo della seconda guerra mondiale; una pagina dimenticata, coperta dal feroce adagio latino “vae victis”.

Ma la popolazione civile non fu vinta, fu solo agnello sacrificale di dinamiche geopolitiche innescate a molti chilometri di distanza dalla Capitanata.

È per questo che, in oltre settantanni da quei fatti luttuosi, c’è chi si è battuto e chi si batte per onorare la memoria dei martiri foggiani, anzitutto rompendo la coltre di silenzio.

Su tutti, occorre ricordare Alfonso de Santis, scrittore venuto a mancare nel 2015, che ai tempi dei bombardamenti della sua Foggia aveva dieci anni. Fu uno strenuo sostenitore della causa della Medaglia d’oro al valore militare, che fu concessa a Foggia soltanto nel 2007.

E poi, anche attraverso i suoi libri dedicati all’argomento, si spese affinché la città avesse un monumento e il museo della memoria. Fu tra i fondatori, nel 2012, del Comitato per la realizzazione di un monumento a ricordo delle vittime del ‘43 a Foggia. L’eredità di de Santis è stata raccolta da Alberto Mangano, presidente del Comitato e autore del sito manganofoggia.it, vera e propria enciclopedia sulla città.

Egli, al telefono con il Quotidiano del Sud, racconta che un passo nel solco della memoria è stato compiuto di recente.

«A maggio – spiega – abbiamo inaugurato un Museo di cimeli di guerra in un locale che ci ha concesso il Comune, ubicato proprio sotto la Villa Comunale, uno dei luoghi simbolo di quella carneficina».

L’esposizione – che raccoglie reperti vari – è aperta ai visitatori la seconda e la quarta domenica d’ogni mese e in date significative, come il 22 luglio (anniversario di uno dei bombardamenti più atroci) e il 28 maggio (data di inizio delle incursioni). Da settembre partirà una collaborazione con le scuole, per organizzare visite degli studenti. Realizzato il Museo, la prossima tappa è il monumento, finora sempre rimasto una chimera.

«Un po’ per intoppi burocratici, un po’ perché l’opera è molto costosa e non di impellente necessità» – spiega Mangano – le amministrazioni hanno soprasseduto. Ora la situazione pare essersi sbloccata, anche grazie al contributo di raccolte fondi che organizzerà il Comitato. Esiste già un bozzetto, raffigurante una mamma con un bambino in braccio, realizzato dall’artista Leonardo Scarinzi, già autore di un monumento al viaggiatore antistante la stazione ferroviaria di Foggia.

La speranza espressa da Mangano è che il monumento venga inaugurato entro un anno. Sarà il coronamento di una battaglia per rendere omaggio alle vittime e tener viva la memoria.

«Abbiamo avuto il merito – afferma il presidente del Comitato – di aver fatto parlare la città di un argomento che rischiava di essere dimenticato, tante persone non ne sapevano nulla».

Ma a cosa è dovuto questo oblio?

«In parte alla volontà degli stessi sopravvissuti di rimuovere quella terribile esperienza – spiega Mangano – e in parte, forse, al fatto che non c’era volontà politica di accusare gli anglo-americani, in quanto alleati».

Ma il tempo rimargina le ferite. E aiuta a comprenderne la causa.


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