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Dieci anni di Cinque Stelle, compiuti ieri. Era il 4 ottobre del 2009 e a Milano c’erano Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. I due fusero insieme fra il blog di Beppe Grillo, allora Presidente e rappresentante legale per statuto, e il movimento 5 Stelle con piattaforma on line.

Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio

Da allora ad oggi il movimento è diventato un partito, Grillo si è ritirato in una posizione di padre nobile che però intervenuto in maniera determinante perché l’attuale governo col PD si facesse, mantenendo dunque la sua posizione di influencer assoluto.

Il soggetto politico era in parte una appendice degli spettacoli politici di Beppe Grillo e delle sue idee strampalate ambientaliste e in parte era la vendemmia del più diffuso sentimento di rancore nei confronti della politica e dei politici trattati quasi senza distinzione come ladri corrotti e incapaci. Quella delegittimazione della politica era già avvenuta con la fine della guerra fredda che aveva reso obsoleti tutti gli apparati, sia del comunismo che dell’anticomunismo in senso antisovietico, cioè di alleanza militare atlantica. Era tutto già pronto e anche Berlusconi aveva potuto fare il primo grande pieno sulle note dell’antipolitica, rifiutandosi di definire Forza Italia un partito.

Il movimento Cinque Stelle ha seguito il cammino inverso diventato partito e ha poi subito la stessa metamorfosi che subiscono tutti i movimenti duri e puri, ma che prima o poi devono mettersi in giacca e cravatta e sedersi allo stesso tavolo di coloro che avevano detto di odiare, e sbattere fuori per sempre, dopo aver aperto il Parlamento “come una scatola di tonno”.

L’idea persa per strada era quella di imporre a furor di clic, una nuova Costituzione di fatto, dunque rivoluzionaria, non più fondata su una democrazia rappresentativa, ma sulla democrazia diretta, senza la scomodità di andare a votare per continui referendum come fan no gli svizzeri, ma con la raccolta di poche migliaia di “clic” su un sito Internet privato.

La democrazia rappresentativa voluta dai famosi “padri fondatori” era già stata attaccata e sbeffeggiata con i movimenti detti “girotondi” che portavano in piazza, come un valore morale, il puro vilipendio delle istituzioni. Attaccare il Parlamento, la politica e i rappresentanti del popolo era già una prassi non solo consolidata, ma accettata con timidezza per non dir peggio dai guardiani delle istituzioni. Ciò permise a Grillo di vantarsi di aver creato un ammortizzatore legalitario: “Se non ci fossimo noi, la gente vi rincorrerebbe con i forconi, ma noi assorbiamo la protesta e la rendiamo politica”. A grillo si poteva e si può obiettare che gli italiani non sono mai stati capaci di fare una rivoluzione, ma in genere di attaccare chi era già caduto, che è lo sport più popolare dopo il calcio.

Pierluigi Bersani e la delegazione del Movimento Cinquestelle

La democrazia parlamentare nel frattempo aveva perso i suoi pochi tifosi, perché i grandi partiti erano morti, le militanze erano finite e coloro che in Italia considerano la forma della democrazia un valore in sé si sono sempre contati sula punta delle dita. I Cinque Stelle sono stati molto espliciti, molto spettacolari specialmente al loro esordio: chi può dimenticare le forche caudine inflitte da Grillo a Bersani con lo streaming in diretta? Fu fatto genialmente credere dai pentastellati che con loro, ogni trattativa sarebbe avvenuta in diretta sotto gli occhi della telecamera. Sappiamo come è andata a finire.

Le prove della corruzione dei partiti e dei loro cassieri e procacciatori d’affari, esistevano almeno dal 1980 quando proprio a me capitò per puro caso e senza alcun particolare merito, di raccogliere per la Repubblica l’intervista dell’allora braccio destro di Giulio Andreotti, Franco Evangelisti in cui mi dichiarava s che “Qui avemo rubbato tutti” fornendo dettagli persino comici sulla distribuzione di fondi neri ai partiti e ai singoli politici, passata poi alla storia con la formula “A Fra’, che te serve?”.

La cosa più strabiliante fu che allora, quaranta anni fa, di fronte a quella confessione non accadde nulla: nessun procuratore aprì un fascicolo, né la sinistra comunista si indignò, salvo che per i modi da gradasso e dialettali del povero Evangelisti. Ma il sistema nel 1980 era ancora compatto e i partiti si reggevano a vicenda, non potendosi negare al Partito comunista di fare la spesa a Mosca e di portare poi allo Ior vaticano i dollari del Cremlino, sotto gli occhi attenti degli agenti del Tesoro americano per evitare banconote false e di un rappresentante del ministero degli Interni, cosa cui provvedeva talvolta anche personalmente Francesco Cossiga. Era, guerra fredda permettendo, un sistema stabile e perfetto. Tutti si approvvigionavano coprendosi e questa era la pecca genetica della democrazia italiana.

Così, il povero Evangelisti fu messo alla gogna soltanto per il suo modo spudorato e romanesco di esprimersi, ma nessuno chiese di accendere la luce sull’infornata di miliardi con cui il Partito comunista alterava le regole del gioco. Era molto più divertente per tutti chiudere gli occhi e mettere in tasca quel che si poteva. Poi il comunismo cadde e le potenze occidentali tentarono un ricambio radicale della classe dirigente italiana facendo scattare l’operazione “Clean Hands” cui lavorò il procuratore Rudolph Giuliani, poi sindaco dell’11 settembre e ora avvocato di Trump. che mise alla gogna e alla porta l’intera classe dirigente col pretesto di una tangente Enimont da pochi spiccioli ponendo fine alla Prima Repubblica. Berlusconi poi fece saltare il piano con la sua rocambolesca maggioranza di “fascisti e leghisti sdoganati”, come ha detto pochi giorni fa, impedendo la scontata vittoria di Achille Occhetto.

I Cinque Stelle sono gli eredi di tutto ciò e non fa specie che Trump li coccoli, anche per infastidire Bruxelles. Ma nel frattempo l’arte dello spariglio inventata da Berlusconi è diventata prassi politica proprio con i Cinque Stelle, specializzati nella nuova arte del fidanzamento entusiasta con coloro che avevano insultato a sangue fino al giorno prima. I contenuti mirabili anche se fiabeschi e puerili hanno lasciato posto alla pochette del fortunato professor Conte, diventato un loro co-leader. Tutto cambia affinché il sistema sopravviva e ci sembra che il movimento abbia almeno questo di buono: ha fatto capire che la politica non si fa con le idee, ma col solo pallottoliere. Le parole non contano e nemmeno le parolacce. Giacca e cravatta, pronti a tutto, con sfacciata sincerità.


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