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Alessandro Sansoni

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Esiste il coronavirus. E poi esiste la narrazione sul coronavirus. Mai come durante questa emergenza sanitaria l’informazione ha dimostrato di detenere ancora le redini del quarto potere. Del ruolo svolto dai media il Quotidiano del Sud ne ha parlato con l’esperto di comunicazione Alessandro Sansoni. Napoletano, componente dell’esecutivo dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, è direttore di Culturaidentità.

Che ruolo sta svolgendo l’informazione?

Decisivo. Ha dimostrato di avere ancora una grande capacità d’influenza. Mi riferisco soprattutto alla tv: per molto tempo si è detto che, con l’avvento dei social network, il tubo catodico avesse perso autorità. L’emergenza coronavirus ha dimostrato il contrario: toccando i tasti giusti dei temi che interessano le persone, come quello della salute, la tv riesce a esercitare condizionamento.

E in che modo sta condizionando le persone?

La diffusa accettazione del lockdown da parte degli italiani è il risultato di quest’opera di persuasione. Va sottolineata a tal proposito l’assenza di capacità critica da parte dei media italiani, che soprattutto nella fase iniziale hanno avuto un eccesso di zelo nei confronti delle misure adottate dal governo. In altri Paesi europei, al contrario, si è registrato un dibattito sull’opportunità di fare una serrata draconiana per contenere i contagi.

Come spieghi questa accondiscendenza dei media al lockdown?

Con la mentalità italiana che reputa la salute un valore prioritario rispetto ad altri diritti importanti come quello allo studio, al lavoro, agli spostamenti. E così si è assecondata la strada apparsa più efficace per contenere i contagi, anche a costo di sacrificare altri diritti costituzionali.

Come ne esce il Sud Italia dalla narrazione sul coronavirus?

Sarebbe stato opportuno, da parte dei media, alimentare un dibattito sulla necessità di diversificare le misure restrittive a seconda delle Regioni italiane. Il lockdown così duro ha forse un senso al Nord, ma è spropositato al Sud. Ora il paradosso è che qui al Meridione, per il nostro tipo di economia, molto legata al turismo e al terziario, avremo una recessione maggiore rispetto a quella del Nord, pur non avendo subito un’aggressione della malattia altrettanto intensa. In questo caso l’assenza di dibattito avrà effetti concreti: la gente del Sud non morirà tanto di coronavirus, quanto di fame.

A proposito della durezza del lockdown italiano, certe restrizioni hanno riguardato anche la libertà d’informazione?

Un mese fa il governo ha istituito una task force di esperti con il compito di vigilare sulla diffusione di fake news relative al virus. Ammesso e non concesso che servisse un simile provvedimento, è singolare che l’osservatorio sia stato costituito dal governo, senza alcuna attenzione verso la necessità di preservare garanzie di pluralismo. Per evitare l’impressione che si fosse di fronte a un “ministero della verità” di orwelliana memoria, sarebbe stato meglio incardinarlo all’interno del Parlamento, e coinvolgere gli enti che già oggi hanno il ruolo di vigilanza rispetto alla corretta deontologia giornalistica, mi riferisco all’AgCom e all’Ordine dei giornalisti.

Quale riflessione suggerisce agli operatori dell’informazione questa emergenza?

Che bisogna recuperare un po’ di autodeterminazione, senza appiattirsi su tesi consolidate. Il ruolo della stampa libera è smontare le fake news, anche quelle del governo. Perché ricordo che il maggiore spacciatore di fake news è sempre il potere.


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