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Ha poco da gonfiarsi il petto la Lombardia. La grande industria non abita più lì ed è, tanto per fare un esempio, dai pesi massimi della meccanica, della chimica e della componentistica che può arrivare l’innovazione. Gli investimenti, quelli seri in ricerca e sviluppo, possono permetterseli solo in pochi e quei pochi sono emigrati.

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Un tempo sotto la Madonnina o nei grandi distretti lombardi si trovavano nomi di peso del made in Italy, saldamente in mano italiana, quali Pirelli, Montedison, Pesenti, Falck, Magneti Marelli, Breda. C’era la Bianchi, l’Alfa Romeo. Ora di italiano resta una marea di medie, piccole e piccolissime imprese che lavorano sodo, fatturano ma innovano poco o niente. E innovare vuol dire crescere, guidare i giochi, imporre il proprio standard. Viceversa, siamo destinati a diventare un popolo di contoterzisti, un paese in mano agli stranieri. Nord compreso.

IL REPORT PERIODICO

La Lombardia vanta uno tra i principali distretti produttivi d’Europa, quello di Monza e Brianza. Le sue eccellenze sono oggetto di un report periodico promosso da Assolombarda, PwC e Banco Bpm e prende in considerazione le prime 800 società con sede nella provincia appartenenti nei settori dell’industria, dei servizi non finanziari e del commercio. La top ten della classifica formata dalle aziende più performanti in termini di ricavi, vanta fatturati che vanno dai 660 milioni ai 3,2 miliardi di euro. In testa c’è Esprinet, società quotata che si occupa di distribuzione all’ingrosso di prodotti informatici e di elettronica di consumo, con 3,217 miliardi di fatturato. La sua caratteristica non è quindi quella di produrre, ma di commerciare. E, guardando bene le prime dieci società del distretto “produttivo” fiore all’occhiello della ricca Lombardia, se ne può trovare una seconda: il capitale di riferimento è in mano a italiani e questo la fa diventare una mosca bianca, una vera rarità. Tra le prime sei aziende poi, è l’unica a controllo tricolore.

IL COLOSSO TEDESCO

Al secondo posto con un fatturato di 1,8 miliardi c’è la filiale italiana della Basf, colosso tedesco della chimica con sede a Ludwigshafen in Renania. Al terzo STM, una potenza dei semiconduttori. Viene definita società italofrancese ma ha sede in Svizzera e, tanto per inquadrare meglio chi comanda, il presidente e amministratore delegato si chiama Jean Marc Chery, è nato a Orleans, in Francia, laureato in ingegneria a Parigi e arrivato in STM attraverso Thomson Semiconducteurs, la società francese da cui è nata STMicroelectronics dopo la fusione con l’italiana SGS Microelettronica. Dei 9,7 miliardi di fatturato complessivo, 1,6 viene attribuito alla filiale di Agrate Brianza.

LA CLASSIFICA

Al quarto posto della classifica vanto dei lumbard c’è Decathlon Italia, azienda – ops – francese di distribuzione di articoli sportivi. Fatturato nel Belpaese e inserito nel 730 di Monza e Brianza: poco meno di 1,4 miliardi. Alla quinta posizione ecco Candy, 1,15 miliardi di fatturato, vanto del made in Italy passata a gennaio ai cinesi di Haier. Il colosso del paese del Dragone ha preferito non far guidare la storica società italiana, diventata sede europea del gruppo, a un italiano, bensì – tanto per cambiare – a un francese, a Yannick Fierling. Sesta posizione per Roche, multinazionale del farmaco con sede a Basilea in Svizzera. La filiale brianzola fattura 1,13 miliardi. Dal settimo posto in giù ci sono realtà con ricavi ben sotto il miliardo, dagli 850 milioni del Gruppo Fontana, bulloneria e sistemi di fissaggio, ai 760 milioni della Sol Spa, gas speciali, ai 627 milioni della Vender Spa, attiva nella lavorazione dell’acciaio e con sede legale a Brugherio mentre quella operativa si trova a Parma. Chiude la top ten la A. Agrati Spa, 662 milioni di ricavi.

Il DISTRETTO DEL MOBILE

Questo per dire che il grosso della Brianza è fatta di piccoli. Che forniscono ai pesi massimi del commercio e della distribuzione. In Brianza c’è un distretto del mobile da fare invidia al mondo, ma Ikea è svedese: si rifornisce ampiamente in Italia ma la fetta maggiore dei margini se la porta a casa lei lasciando ai nostri mobilieri il resto. E questo fino a quando non decide di cambiare paese principale di fornitura. A quel punto coi nostri divani e cucine ci arrederemo le piazze.


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