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Il presidente Giuseppe Conte e il ministro Giovanni Tria

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Questa è la storia di un tesoretto di oltre 15 miliardi di euro. Immediatamente spendibili. Soldi cash nascosti nelle pieghe dell’ultima legge di Bilancio, salvati dalle regole, rigide anche in tempo di crisi, del patto di stabilità. Un fiume di denaro che, per lo più, risale verso il Nord. Con l’inevitabile conseguenza di ampliare ulteriormente il divario fra le due aree del Paese.

L’ALLARME

Un paradosso? Macché. A mettere nero su bianco numeri, tabelle e grafici dell’ennesimo trattamento “differenziato” fra Nord e Sud è una fonte autorevolissima, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Che, nel suo dossier, lancia un vero e proprio allarme: “L’ineguale distribuzione delle risorse che si sono accumulate nei bilanci degli enti e che ora sono disponibili dopo le revisioni delle regole di finanza pubblica, potrebbero concorrere a incrementare i divari territoriali nella spesa per investimento”. Cioè, tradotto in soldoni: le nuove regole sul “pareggio di bilancio”, introdotte con la Finanziaria del 2019, finiranno inevitabilmente per riempire il portafoglio degli enti più ricchi, concentrati nel Centro-Nord e penalizzeranno ancora di più i Comuni con le casse già a secco, localizzati nelle aree più povere del Paese.

LEGGI L’INCHIESTA SULLO “SCIPPO” AL SUD
IN RIFERIMENTO ALLA SPESA PUBBLICA PER IL MEZZOGIORNO

A pagare il costo più alto sono proprio gli enti in una situazione di “pre-dissesto”, come ad esempio il Comune di Napoli, “per i quali si introducono limitazioni all’utilizzo delle poste in avanzo da cui potrebbero derivare ripercussione negative sulla praticabilità dei piani di rientro”. Proviamo a semplificare: le nuove regole, spiegano gli esperti dell’organismo parlamentare di bilancio, non solo “congelano” le somme che teoricamente sarebbero a disposizione dei comuni per gli investimenti ma anche per fare fronte ai debiti pregressi e, quindi, far quadrare i conti. Per dirla in maniera ancora più elementare, oltre il danno ci sarebbe, per il Sud, anche la beffa.

IL DOSSIER

Per carità, l’argomento è sicuramente ostico, quasi da addetti ai lavori. E la tentazione di finire qui la lettura, per passare ad altro, sarà sicuramente forte. Ma, forse, conviene pazientare un po’ e seguire il ragionamento contenuto nel dossier. Perché al di là dei tecnicismi e dei paroloni, l’argomento ha un impatto immediato sulla vita di tutti. In gioco ci sono risorse destinate a finanziare servizi essenziali (asili, trasporti, assistenza) e investimenti produttivi. Insomma, la carne viva di una comunità. Se a tutto questo, poi, aggiungiamo il fatto che, con le regole attuali, basate sul criterio della spesa storica, sono favorite le amministrazioni che sono in grado di impiegare più risorse per finanziare le proprie attività, le distanze fra Nord e Sud del Paese rischiano di diventare insostenibili. Che cosa è cambiato da un anno all’altro?

Fino al 2018 i Comuni erano tenuti alla cosiddetta regola del “pareggio di bilancio”: prima di impegnare un euro per fare investimenti o finanziare nuovi servizi, entrate e uscite dovevano compensarsi con un meccanismo piuttosto complesso che escludeva, ad esempio, alcune voci del bilancio. Dal 2019, invece, le maglie si sono allargate tanto che, per arrivare al pareggio, i sindaci e i governatori possono utilizzare anche gli “avanzi” delle gestioni precedenti. Con la possibilità, per i sindaci, di fare nuovi debiti e fare fronte a ulteriori spese. Non è solo un “ritocchino” formale nato dalla mente di qualche burocrate esperto di contabilità nazionale. No, qui si parla di soldi veri: la nuova norma “scongela” qualcosa come 15,1 miliardi di euro, risorse spendibili già nel 2019. Più o meno quanto ha stanziato il governo per finanziare Quota 100 e Reddito di Cittadinanza.

FIGLI E FIGLIASTRI

Un tesoretto ancora più importante in un momento di vacche magre per il bilancio pubblico e di tagli ai trasferimenti degli enti locali. Ma il trattamento non sarà uniforme per tutto il Paese. Oltre la metà della dote, 7,8 miliardi di euro, è a disposizione delle aree del Nord. Poco meno di 3 miliardi sono destinati al Centro. La restante parte, 4,3 miliardi, se la dividono fifty fifty il Sud e le isole. E, la concentrazione di risorse spendibili al Nord, si legge testualmente nel dossier dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, “risulta maggiormente accentuata, arrivando al 55 per cento, se si considerano gli importi dell’avanzo spendibile che trovano capienza nel fondo cassa dei diversi enti, vale a dire le risorse liquide immediatamente utilizzabili”. In questo caso, al Nord spetterebbero 7,3 miliardi, quattro volte in più rispetto al Mezzogiorno. Certo, una parte della colpa è sicuramente dei sindaci e dei governatori che, in passato, hanno amministrato male le risorse accumulando debiti su debiti. Ma è anche vero che la norma favorisce alcune aree più di altre e, sicuramente, è stata pensata senza tenere conto del più lungo e profondo divario territoriale che esiste attualmente nei Paesi Occidentali.

Non a caso, la fetta maggiore delle nuove risorse a disposizione delle Regioni andrà alla Lombardia: quasi 3 miliardi di euro, un quinto degli “avanzi di bilancio” spendibili nel 2019, più del doppio delle risorse disponibili in Campania. Al secondo posto nella speciale classifica delle aree con più capacità di spesa troviamo, a sorpresa, il Lazio, con una dote di 1,8 miliardi di euro, nonostante il “buco” di 12 miliardi nei bilanci di Roma Capitale. La dote destinata alla Puglia si ferma a quota 750 milioni. Per le altre aree del Sud, invece, solo “briciole”: 183 milioni di euro per la Calabria, 113 per la Basilicata, 202 milioni per l’Abruzzo e 58 per il Molise. Insomma, Comuni di serie A da una parte e di serie B dall’altra. Con buona pace di chi predica il riequilibrio dei territori.


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