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Si può vincere una guerra e, al tempo stesso, perderla?

A Napoli sta succedendo (è successo) esattamente questo. Solo che non si dice, non si scrive perché l’antimafia – Leonardo Sciascia insegna – è uno straordinario trampolino di lancio per tante carriere, soprattutto fuori dalla magistratura. La guerra vinta è quella contro la camorra intesa come organizzazione mafiosa che, attraverso il ricorso alla violenza, controlla un determinato territorio. Sì, è proprio così.

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La camorra a Napoli è stata sconfitta dall’azione incessante delle forze dell’ordine e degli inquirenti che hanno decapitato organizzazioni temibili come mai ve ne furono a queste latitudini: i Mariano, i Mazzarella, i Contini, i Sarno, e tante altre, solo per fare qualche nome. Alcune sigle criminali – come i Misso del rione Sanità e i Giuliano di Forcella, che hanno regnato nel centro storico per tanto, troppo tempo – di fatto si sono estinte da almeno un decennio. Sopravvivono brandelli e propaggini di quelle cosche che per vent’anni, tra il 1980 e il 2000, hanno letteralmente insanguinato le strade del capoluogo facendo centinaia e centinaia di morti ammazzati all’anno.

Forse qualcuno ha dimenticato gli attentati col bazooka (clan Lago di Pianura) o le autobombe (clan De Luca Bossa di Ponticelli) o le decapitazioni (Di Lauro di Scampia).

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Oggi, per fortuna, quella camorra non esiste più. Solo che non si può dire. Chissà perché.

UN TESSUTO IN CANCRENA

La guerra è persa invece per altri motivi. Non solo per la povera Noemi, a cui un proiettile «full metal jacket» esploso da un balordo assassino ha perforato il polmone lasciando lei – e la città – senza respiro ormai da 96 ore. Adesso, la piccola di 4 anni è in un lettino dell’ospedale pediatrico Santobono a lottare contro la morte, mentre tutta la città prega per lei. La guerra è persa perché, – e ritorniamo al punto di prima – dopo averla vinta coi grandi clan, lo Stato ha deposto le armi e ha lasciato che la cancrena in suppurazione divorasse i tessuti sani che si erano miracolosamente salvati.

La cancrena sono le bande di gangster che scorrazzano per la città, oggi ostaggio di psicopatici che ammazzano e si scattano selfie su Facebook. Non più, dunque, temibili organizzazioni mafiose ma gruppetti – pericolosissimi – di criminali affamati di soldi e potere che dilagano ovunque. La cancrena sono i baby boss che, galvanizzati da fiction come Gomorra, immaginano di conquistare nella realtà ciò che gli attori conquistano sulla scena.

La cancrena sono le illegalità diffuse che vengono tollerate a più livelli (anche istituzionale). Dai parcheggiatori abusivi, legati ai clan vecchi e nuovi, alle occupazioni abusive di immobili ed edifici, alla contraffazione, ai furti, al contrabbando di sigarette. In questo liquido amniotico nuotano i criminali che hanno preso il posto della Bestia camorristica. Lo Stato ha catturato e ucciso i grandi squali bianchi, per usare un paragone marino, ma ha lasciato che piranha e barracuda prendessero il loro posto. Il pazzo che, venerdì scorso, ha impugnato la pistola e ha sparato tra la folla alle 17 in Piazza Nazionale, ferendo non solo l’obiettivo designato, tal Salvatore Norcaro con precedenti di polizia e legato alle famiglie dell’area orientale, ma anche la piccola Noemi e la nonna, sarà presto arrestato. Su questo non c’è dubbio.

(LEGGI L’INCHIESTA SULLO SCIPPO NELLA SPESA PUBBLICA DA PARTE DEL NORD AI DANNI DEL SUD)

E si scoprirà forse che, in un modo o nell’altro, è legato a qualche cosca locale o ai contesti camorristici e para camorristici del quartiere. Ma sarà un killer come un altro, animato da motivazioni personali o da logiche di branco. Ce ne sono stati altri prima di lui e ce ne saranno altri in futuro, dopo di lui. Lui è il prodotto di una ritirata, ancora in atto, dello Stato dai territori conquistati.

Quello che non c’è stato, insomma, è l’intervento dello Stato per costruire laddove aveva demolito con efficacia, bisogna dirlo. Con i clan sgominati, sarebbe stato necessario un piano di rigenerazione urbanistica e civile di Napoli. Che, ovviamente, è mancato in misura inversamente proporzionale alle promesse fatte dalla classe politica locale e nazionale. È come se un chirurgo, dopo aver estirpato il tumore, non immaginasse un decorso post-operatorio con le chemio e tutte le cure collaterali del caso. Quale risultato otterrebbe?

UN BRUTTO FILM

Nell’area nord di Napoli, solo per fare un esempio, non esiste un solo cinema nei quartieri di Secondigliano, Piscinola, Marianella, Miano, San Pietro a Patierno, Chiaiano e Scampia. Sapete quanti cittadini ci abitano? Duecentomila. Un quinto di tutta la popolazione del capoluogo. Non c’è un teatro, in quelle terre desolate, né centri attrezzati per i giovani. L’unico campetto di calcio, al rione don Guanella, lo gestivano dei pazzi criminali che don Aniello Manganiello, il coraggioso prete anticlan finito sotto scorta, cacciò guadagnandosi minacce di morte e odio imperituro.

A Scampia, un’associazione di tutela dell’infanzia ha scoperto che quasi la metà dei bambini ha problemi di vista. E sapete cosa significa? Che i genitori, non avendo i soldi per curarli, li fanno crescere in un mondo dove regnano le ombre, dove non c’è spazio per la luce del sole. E per la nitidezza e i colori netti. Un bimbo che ha problemi di vista percepisce una realtà distorta. È destinato a isolarsi, a vivere in maniera solitaria la sua infanzia. Con tutti i devastanti effetti caratteriali e di relazione con gli altri che ne derivano. Questa è la Napoli che ha vinto la guerra, ma ha perso la guerra.


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